Pisa: il gender dentro a “oltre i bullismi”

Nel mirino dell’Osservatorio per le politiche della Famiglia di Pisa c’è l’iniziativa “Oltre… i bullismi” del liceo Dini


L’Osservatorio, Associazione di Promozione Sociale
nata a Cascina con il sostegno dell’amministrazione leghista, lamenta di esser stato tradito proprio dal Ministero dell’Istruzione.

PISA — Non usa mezze parole Valerio Lago, presidente dell’Associazione di promozione sociale “Osservatorio per le politiche della famiglia”, per stigmatizzare il sostegno dato dal Miur, ora diretto da Marco Bussetti proposto dalla Lega, al liceo Ulisse Dini per l’iniziativa “Oltre… i bullismi”.

“Il ‘Governo del Cambiamento’ non cambia linea sull’indottrinamento scolastico – scrive Lago – Promesse elettorali? giuramenti di fedeltà agli ideali cattolici? foto di rito? Quando però si tratta di passare dalle parole ai fatti il nuovo Ministro dell’ Istruzione conferma in pieno la linea dettata dalla potente ed elitaria lobby LGBT.

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“Ci vogliono più asili nido!”, ma è proprio vero?

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Nel dibattito pubblico si possono constatare degli assunti da tutti asseriti senza bisogno alcuno di fornirne ragione, delle “verità” che nessuno osa contestare e che mettono magicamente d’accordo tutti. Una di queste è: “Servono più asili nido!”.

Ogni qualvolta si affrontino tematiche attinenti la maternità, il welfare per le famiglie, la questione demografica, etc. non c’è politico, giornalista, opinionista che non si trovi d’accordo nel sentenziare “Servono più asili nido!”.

Il più laicista dei radicali e il navigato democristiano, la femminista marxisteggiante e l’ex missino passando per ogni altra declinazione del vasto spettro ideologico sono tutti perfettamente concordi sul punto: “Servono più asili nido!” Chi li vorrà pubblici e gratuiti, chi espressione della libera iniziativa privata, chi per “liberare” le donne e chi per favorire la natalità ma tutti sicuri e convinti che “Servono più asili nido!”.

Così quando mi è capitato tra le mani il volumetto “Contro gli asili nido. Politiche di conciliazione e libertà di educazione”, essendo per natura un bastiancontrario, non ho saputo resistere e me lo sono letto d’un fiato. Il libro è agile, 82 pagine in tutto, edito da Rubettino nel 2009. Autore non è un pericoloso reazionario magari appartenente a qualche gruppetto tradizionalista, non è neppure un Amish dell’Ohio (curiosamente tradotto in italiano) ma una  giornalista de Il Sole 24 ore, sposata con due figli, Paola Liberace. E, come non bastasse, il volume è prefato dall’onorevole Valentina Aprea di Forza Italia, insegnante, dirigente scolastico e allora Presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati.

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E’ la propaganda gender a far diventare omosessuali?

Le mode e la scelta di «cambiare sesso», un nuovo studio mostra il legame

L’influenza sociale, la visione continua di immagini e video che illustrano la possibilità di «cambiare sesso», la crescita in contesti familiari in cui si rifiuta la morale naturale (innanzitutto la complementarità uomo-donna e l’unicità del matrimonio) sono tra le cause principali che influiscono sulla crescente confusione degli adolescenti rispetto alla propria identità sessuale. È quanto emerge da uno studio pubblicato lo scorso 16 agosto su Plos One, un giornale basato sulla peer-review («riesame dei pari»), e condotto dalla ricercatrice e medico statunitense Lisa Littman, che lavora come assistente universitaria in scienze sociali e comportamentali alla Brown University.

Lo studio mette in luce una realtà sempre più dimenticata, che è l’esatto opposto dell’ideologia secondo cui il sesso sarebbe un «costrutto culturale», anziché un dato biologico. Non sorprende perciò quanto avvenuto nei giorni successivi alla sua pubblicazione e gli attacchi delle associazioni Lgbt, che si sono appigliate pretestuosamente alla metodologia usata (pazienza se simili scrupoli metodologici manchino proprio negli studi condotti da attivisti o ricercatori vicini alla galassia arcobaleno). La Brown University, dopo le pressioni ricevute, ha eliminato dal proprio sito l’articolo che parlava dello studio della Littman, adducendo tra i motivi che le conclusioni della ricerca «potrebbero essere usate per screditare gli sforzi a sostegno dei giovani transgender e invalidare le prospettive dei membri della comunità transgender». Il resto del comunicato della Brown University è un insieme di contraddizioni, su tutte il fatto che le ricerche vanno dibattute con vigore «perché questo è il processo attraverso il quale alla fine avanza la conoscenza» (allora come si spiega la censura? Forse perché bisogna far avanzare un solo tipo di «conoscenza»?), e si piega perfettamente al frasario tipico della neolingua.

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Omosessuali non si nasce. E nemmeno lo si diventa

All’interno del Diploma di Perfezionamento in Bioetica, lo scorso sabato 29 novembre è stata aperta al pubblico la lezione sul tema “Teoria del Gender: storia e fondamenti”. Di seguito presentiamo un’intervista fatta alla prof.ssa Giorgia Brambilla, in occasione del suo intervento durante la seconda parte della lezione dedicata agli aspetti scientifici e bioetici dell’omosessualità.

Dalla differenza all’indifferentismo sessuale: quali sono le origini di questo dibattito?

Chi sostiene che non esista una vera differenza tra uomini e donne crede che il corpo è sì sessuato, ma questo non è determinante. Ciò che conta è come la persona si sente. E la differenza maschile/femminile sarebbe una differenza esclusivamente culturale, cioè gli uomini e le donne sono tali perché da bambini siamo stati educati così.

Storicamente, vi è stata l’influenza di varie correnti. Per citarne alcune: il permissivismo edonista e il suo slogan “al sesso non si comanda!”; il pansessualismo di Freud che riconduceva le nevrosi e le sofferenze della personalità alle repressioni della sessualità; il rapporto Kinsey, secondo cui il sesso è un mero meccanismo legato a certi stimoli e dunque non ha senso dire in ambito sessuale che una cosa è sbagliata o che non è normale; la rivoluzione sessuale che ha portato a ridurre il sesso alla mera istintualità. Il filo conduttore consiste nell’idea che l’uomo debba essere liberato e che questo si possa fare attraverso la liberalizzazione del sesso.

Il neomarxismo poi, specialmente con Marcuse, ha esteso la liberazione alla sfera della eterosessualità, parlando di “libera scelta del sesso”. Quest’idea, insieme anche alla spinta ideologica di Simone de Beauvoir, è confluita nella costituzione dei cosiddetti “cinque generi”: maschile, femminile, omosessuale maschio, omosessuale femmina, transessuale. Il femminismo ha poi imposto l’idea che fosse proprio la differenza dei sessi a provocare l’inferiorità sociale della donna e che i ruoli dell’uomo e della donna, anche all’interno della famiglia – per nulla naturali ma solo culturalmente indotti – costituirebbero una grave ingiustizia. La vera conquista ideologica e sociale sarebbe il passaggio dal “sex” all’“unisex”. Ne fu emblema anche l’abbigliamento: jeans e maglietta vanno bene per tutti, maschi e femmine. Non ci sono punti fermi, non ci sono dati di natura, validi per l’uomo di ogni tempo e di ogni luogo. Panta rei, tutto scorre: siamo arrivati a capire che il pensiero multigender ha un’eredità gnostica ed è intriso di relativismo.

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“Praticavo aborti, oggi difendo la vita”

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A quarant’anni dall’approvazione della legge 194, che ha introdotto l’aborto in Italia, molti suoi fautori si chiedono come sia possibile che persista un alto numero di medici obiettori di coscienza. La risposta risiede nel profondo dello sguardo o nella voce spezzata dall’emozione di alcuni di loro, come il dott. Antonio Oriente, ginecologo siciliano 64enne. Oggi è un medico che si spende per convincere le donne indecise a far nascere i bambini che portano in grembo, ma per tanti anni le sue mani hanno praticato aborti, “hanno ucciso i figli degli altri”, come ammette lui stesso senza giri di parole in un’intervista ad In Terris.

La sua storia professionale si intreccia con quella personale. Ed inizia a farlo negli anni ’80, tra i tormenti di un uomo che non riusciva a trovare la serenità. “Mia moglie, pediatra, adorava e curava i bambini, ma non riuscivamo ad avere figli nostri, nemmeno con la strada della fecondazione artificiale, e lei ne soffriva in modo terribile”, racconta. Lui passava ore interminabili nella sala d’ospedale, cercando di esorcizzare la sofferenza con l’impegno lavorativo. “Mancavo da casa anche due giorni di seguito – dice -, tutto assorbito dal mio lavoro, che consisteva anche nel praticare aborti, nell’uccidere i figli degli altri, mentre non riuscivo ad averne di miei”.

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Aborto: il Governo d’Irlanda minaccia i vescovi

I vescovi irlandesi: «Niente aborti negli ospedali cattolici». E il governo minaccia.

Quasi tutti hanno parlato sottovoce, riunciando a organizzare ogni forma di rivolta, permettendo così la vittoria al referendum pro aborto del 25/3/2018.
Sorridenti in
clergyman, forse si erano illusi, ancora una volta, come in tante parti del mondo, che fosse sufficiente “negoziare”, che bastasse “cedere per non perdere”.
Hanno “evitato contrapposizioni“… ma alla democrazia totalitaria questo non basta: lo Stato vuole tutto.

Gli ospedali cattolici continueranno a difendere la vita e dunque a non praticare aborti. È il messaggio lanciato dai vescovi irlandesi in un documento pubblicato a giugno, il Code of ethical standards for healthcare (Codice di standard etici per l’assistenza sanitaria, per ora reperibile solo nelle librerie Veritas), che a quanto pare è rimasto inosservato fino a un articolo del Times del 25 luglio, la cui redattrice è stata apertamente elogiata su Twitter dal ministro irlandese della Salute, l’abortista Simon Harris (una contraddizione in termini, visto il suo ruolo istituzionale).

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Vescovo scozzese: Humanae vitae più attuale che mai

Ricorre oggi il 50° anniversario dell’Humanae Vitae (25 luglio 1968), l’enciclica del beato Paolo VI che in piena rivoluzione sessuale ribadì coraggiosamente e solennemente l’insegnamento bimillenario della Chiesa sul significato procreativo e unitivo dell’atto coniugale. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti e a distanza di 50 anni – mentre sono in corso dei tentativi di ‘smontare’ l’enciclica da parte di teologi neopagani che vorrebbero appiattire la Chiesa sul mondo – si può tranquillamente affermare che i contenuti dell’Humanae Vitae si sono rivelati profetici, come ha ricordato in un’ampia intervista al National Catholic Register il vescovo scozzese di Paisley, John Keenan.

L’intervento di Keenan, che fa seguito a diversi altri dello stesso tenore come il recente appello (da leggere, in: http://www.iltimone.org/news-timone/lappello-dei-sacerdoti-americani-difesa-dellhumanae-vitae/) dei sacerdoti americani (nel momento in cui scriviamo le firme sono arrivate a 257) e prima ancora di circa 500 sacerdoti britannici, illustra bene perché l’enciclica di Paolo VI debba essere il punto di partenza per una «nuova catechesi», necessaria ad affermare la cultura della vita.

Secondo il vescovo, nominato alla guida della diocesi scozzese da papa Francesco nel 2014, «l’Humanae Vitae è oggi davvero più attuale che mai. Papa Paolo VI indirizzò l’Humanae Vitae non solo al clero e ai fedeli nella Chiesa, bensì a tutte le persone di buona volontà. Questo perché era convinto che il genere di questioni che sollevava e gli insegnamenti che trasmetteva fossero “fondati sulla legge naturale”, che faceva appello alla mente, all’esperienza e alla coscienza di ogni persona umana, di tutte le fedi e di nessuna».

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Mons. Crepaldi sull’assoluzione della farmacista

L’obiezione di coscienza e i suoi fondamenti.
Nota dell’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi sulla sentenza di assoluzione della farmacista di Monfalcone

La stampa, anche nazionale, si è molto occupata della sentenza di assoluzione in appello della farmacista triestina, ma operante a Monfalcone, che si era rifiutata di vendere la cosiddetta pillola del giorno dopo (che può avere effetti abortivi) ad una coppia che ne aveva fatto richiesta nella farmacia ove lavorava.
Il fatto risale ormai a cinque anni fa. L’assoluzione era già arrivata in primo grado, ma la procura aveva fatto ricorso e siamo così arrivati a questa seconda sentenza di assoluzione.

Ho seguito questa vicenda, che aveva come protagonista principale una fedele della nostra diocesi, con grande partecipazione e vicinanza, nonché con ammirazione per la coerenza di vita e il coraggio della testimonianza da ella dimostrato.

Gran parte dei commenti è stata di soddisfazione, e giustamente. La dottoressa aveva fatto obiezione di coscienza circa la sua collaborazione ad una interruzione di gravidanza per via chimica, aveva rischiato sulla propria pelle e, come una moderna Antigone, aveva preferito obbedire alla legge degli dei piuttosto che a quella degli uomini.

L’evento è degno della massima attenzione anche per il suo contenuto, ossia il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza. A questo proposito l’occasione è propizia per fare qualche ulteriore riflessione.

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La guerra mondiale contro vita e famiglia… si può frenare!

La Mexico City Policy, stabilita per la prima volta nel 1984 da Ronald Reagan e sempre sospesa dai presidenti democratici (cioè Clinton e Obama), funziona.

Tale norma, che impedisce di finanziare con fondi federali le organizzazioni non governative che praticano aborti all’estero o fanno propaganda per depenalizzare le legislazioni nazionali in materia, è stata reintrodotta nel gennaio 2017 con uno dei primissimi atti esecutivi di Donald Trump.

A confermare la sua efficacia sono proprio le lamentele degli abortisti, che la chiamano spregiativamente global gag rule (“legge bavaglio”) e martedì scorso, attraverso il Center for health and gender equity (Change), hanno pubblicato un rapporto di 115 pagine per dire in sostanza quanti danni la Mexico City Policy stia facendo alla “salute”, concetto che – è bene non dimenticarlo – nella visione abortista equivale a poter sopprimere, con l’avallo della legge, una vita umana innocente che aspetta solo di venire alla luce.

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Farmaco blocca-pubertà: via libera con il sì dei cattolici

Nel 2013 l’ospedale Careggi di Firenze chiese il via libera per l’utilizzo di farmaci in grado d’inibire gli ormoni responsabili dello sviluppo della pubertà, sostenendo attraverso Mario Maggio, primario di Medicina della sessualità, che la disforia di genere (la percezione di trovarsi nel corpo di sesso sbagliato) che affliggeva certi bambini poteva essere curata così.

In poche parole bloccando lo sviluppo sessuale del suo corpo il piccolo avrebbe avuto più tempo per decidere se essere maschio o femmina.
Ovviamente si sollevò una polemica, soprattutto in casa cattolica, data la follia di curare un disturbo mentale, anziché cercandone le cause, avallandolo.

Un po’ come se, a chi si sentisse un gatto, accettassimo di mettere la coda.
Osservazioni che fino a cinque anni fa sembravano ancora ovvie, come ovvio è il fatto che in presenza di una dissociazione fra sesso biologico e identità percepita, il problema non è del corpo, ma della mente.

Oggi, però, pare non essere più certo neppure questo. Nemmeno in casa cattolica.

Sì perché il parere del Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) in risposta alla richiesta dell’AIFA del 10 aprile scorso di utilizzare «la triptorelina per il trattamento di adolescenti affetti da disforia di genere (DG)», reso noto il 23 luglio, porta la firma di medici, genetisti, giuristi e filosofi cristiani come Bruno Dallapiccola del Bambin Gesù di Roma, Francesco D’Agostino, presidente dei Giuristi Cattolici, Lucio Romano, ex presidente di Scienza & Vita, Lucetta Scarrafia, editorialista dell’Osservatore Romano, Mariapia Garavaglia, ex ministro della Sanità, i filosofi Laura Palazzani e Antonio Da Re e l’economista Massimo Sargiacomo.
Con un solo parere contrario, quello di Assuntina Morresi, docente di Chimica-Fisica.

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