Continua a decrescere la popolazione italiana, tanto che per il quinto anno consecutivo i decessi superano le nascite. Nel 2019 si registra un saldo naturale negativo di 212 mila unità, dovuto alla differenza tra 647 mila decessi e 435 mila nascite che è il dato più basso mai registrato nel nostro Paese. Il tasso di fecondità, 1.29 figli per donna, rimane costante ma è largamente insufficiente a garantire il necessario ricambio generazionale che è di 2.1 figli per donna.
Tutte le principali agenzie di stampa riportano con una certa preoccupazione i dati diffusi dall’Istat che certificano l’inesorabile declino della popolazione italiana. La politica si interroga su come cercare di risolvere il problema della denatalità. Lo stesso capo dello stato, Sergio Mattarella, ammette che è necessario e urgente combattere il calo demografico italiano: «Va assunta ogni iniziativa per contrastare questo fenomeno perché si rischia un indebolimento del nostro paese».
Eppure, la causa principale dell’inverno demografico, l’aborto di stato, non viene mai menzionato dalle Istituzioni né dalla politica in generale né tantomeno dai media, compresi quelli cattolici. Lo stesso quotidiano dei vescovi italiani, l’Avvenire, nei diversi articoli di approfondimento dedicati alla paurosa crisi demografica in atto, non riserva neppure una riga alla piaga dell’aborto volontario.
Ma i numeri parlano chiaro: oltre sei milioni di morti ammazzati dal 1978 ad oggi grazie alla legge 194 e un numero imprecisato di omicidi causati dagli aborti chimici, diretta conseguenza della 194. Dunque, anche volendo tralasciare il male morale causato dalla odiosa pratica dell’aborto volontario e volendo usare solo la logica ed il buon senso, non si può non prendere in considerazione l’ipotesi di abrogare una norma assassina che sta letteralmente decimando la popolazione italiana. Non solo, nessuno prende nemmeno in considerazione l’idea di abrogare almeno il finanziamento pubblico all’aborto.
Insomma, sono oltre quarant’anni che lo stato finanzia l’uccisione dei suoi cittadini, salvo poi lanciare l’allarme per una situazione demografica ormai insostenibile. Siamo all’assurdo.
Quando va bene, c’è qualcuno che osa spingersi un po’ più in là del politicamente corretto, ammettendo la necessità di innescare un cambio culturale: i figli non sono oggetti da comprare sul mercato della riproduzione, quando magari giunti ad una certa età si sente improvvisamente il bisogno di realizzarsi come genitore; i figli non sono nemmeno prodotti da scartare qualora risultino “difettosi”. I bambini sono un dono di Dio e rappresentano il futuro di un popolo. Belle parole, certamente condivisibili. Manca però sempre la condanna della principale causa della riduzione dell’essere umano ad un oggetto da manipolare e scartare a piacimento: l’aborto di stato, la sciagurata legge 194. E con essa tutte le norme inique che pretendono di legittimare pratiche disumane come la fecondazione assistita, l’eutanasia e la morte cerebrale.
L’opinione pubblica non si occupa più del tema dell’aborto, perché lo ritiene ormai un “diritto acquisito”. Come si può dunque operare quel cambio culturale che dovrebbe risollevare le sorti del nostro paese?
Non c’è altra strada che appropriarsi della piazza pubblica e manifestare per la difesa della vita innocente, senza compromessi e reticenze. L’occasione è partecipare alla Marcia per la Vita che quest’anno, sabato 23 maggio, giunge alla decima edizione.
In questi ultimi dieci anni la marcia è cresciuta e da essa sono nate tante realtà, composte soprattutto da giovani pro life, che stanno lentamente ma inesorabilmente cambiando la mentalità degli Italiani.
L’aborto è un crimine che spezza la vita di un essere umano e con essa la speranza di un intero popolo. E’ giunta l’ora di denunciare pubblicamente la legge che da oltre quarant’anni sta distruggendo l’Italia intera ed è anche giunta l’ora che la politica cominci ad occuparsi di una questione relegata da decenni nell’oblio del politically correct.
di Alfredo De Matteo, per https://www.corrispondenzaromana.it/crollo-delle-nascite-in-italia-le-responsabilita-delliniqua-legge-194/