Cara Dottoressa Navarini,
? potrebbe spiegarmi perch?, se si accetta ? magari in casi estremi ? la possibilit? etica del suicidio, non si dovrebbe accettare l?eutanasia? In fondo si tratta di un suicidio che ha bisogno semplicemente di un aiuto esterno per poter essere realizzato. ? quindi ragionevole che la responsabilit? del gesto ricada sul richiedente, e non sull?esecutore materiale, cio? che non vi sia alcuna sanzione per chi aiuta a morire uno che lo desidera davvero.
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Molte grazie per la Sua chiarezza e buon lavoro. Cari saluti,
Federica G., Como
Risponde la dottoressa Claudia Navarini, docente presso la Facolt? di Bioetica dell?Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.
Cara Federica,
il fronte pro-eutanasia si avvale, nella sua capillare campagna propagandistica a favore di eutanasia e di suicidio assistito, di diversi argomenti e slogan, a volte in conflitto fra loro. Ad esempio, c?? chi rivendica il diritto di morire su richiesta, ma deplora come grave crimine l?uccisione dei non consenzienti, qualunque sia la loro condizione. C?? chi ritiene che le volont? anticipate equivalgano all?espressione di volont? attuale, e dunque ammette la richiesta di eutanasia attraverso le ?dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario?, e chi invece pensa che tali documenti non possano contenere domande di eutanasia perch? troppo astratti.
C?? chi crede che la sospensione dell?idratazione artificiale possa essere richiesta dal paziente o effettuata dai medici come forma di rifiuto dell?accanimento terapeutico e chi ammette invece che tale mezzo non sia mai sproporzionato. C?? chi si oppone alla ?terminazione? dei pazienti in stato vegetativo ? perch? non sono terminali ? ma ammette atti eutanasici per i malati terminali, soprattutto se soffrono. E cos? via, in un miscuglio o in un?alternanza di appelli alla libert? individuale, alla ?morte per piet??, alla ?tutela della qualit? di vita?.
Per una certa parte, l?eutanasia moderna ? o meglio il suicidio assistito ? si configura effettivamente come inno alla liceit? del suicidio, ossia come giustificazione della volont? di morire, a cui il medico dovrebbe eventualmente cooperare. Tale cooperazione non ? affatto secondaria, nella valutazione dell?atto. Un mondo che autorizzi la soppressione di un essere umano innocente, sia pure su sua richiesta, ? profondamente perverso: conferisce un potere potenzialmente illimitato sulla vita altrui; interpreta le apparenti richieste di morte dei sofferenti come volont? effettive di morire, quando ? noto che questi malati cercano unicamente sollievo, aiuto e speranza; esprime una falsa piet?, che maschera l?incapacit? di sopportare colui che soffre, forse perch? richiama troppo da vicino la nostra stessa sofferenza e morte; riduce eventualmente il medico a un mero esecutore della volont? suicidarla del paziente, trascendendo i confini e gli scopi della medicina. (cfr. C. Navarini, Quando sospendere la terapia ? un atto eutanasico?, ZENIT, 29 ottobre 2006).
Conviene tuttavia considerare anche la questione del suicidio, perch? ? pur vero che l?immoralit? dell?eutanasia volontaria pu? risiedere non soltanto nella volont? omicida dell? ?esecutore?, ma anche ? sebbene in casi in realt? molto rari ? nella volont? suicida del paziente. La giustificazione del suicidio, in questo senso, diventa un facile appiglio per sostenere la legittimit? dell?eutanasia volontaria. Umberto Veronesi, nel libro Il diritto di morire. La libert? laica di fronte alla sofferenza (Rizzoli 2005), si premura in effetti, di indicare per sommi capi la diffusione della pratica suicidaria nella storia umana, come qualcosa che in fondo sarebbe stato sempre accettato come possibile, inevitabile, talora addirittura doveroso e certamente ?dignitoso?.
La questione del suicidio apre spazi di riflessione che non possono essere liquidati con poche scontate battute, e la cui portata viene indicata correttamente da Giovanni Paolo II nell?enciclica Evangelium Vitae, dove afferma che nell?eutanasia sono sempre implicati un suicidio o un omicidio. Riguardo al suicidio, il grande pontefice osservava che ?comporta il rifiuto dell’amore verso se stessi e la rinuncia ai doveri di giustizia e di carit? verso il prossimo, verso le varie comunit? di cui si fa parte e verso la societ? nel suo insieme? (n. 66). L?approccio di Veronesi non sembra tenere in alcun conto tali fondamentali istanze di una sana convivenza civile.
Il suicidio ? un atto disordinato e innaturale che da molto tempo le societ? civili hanno smesso, a ben vedere, di promuovere come formula accettabile di risposta ai pi? vari problemi esistenziali. Nella maggior parte dei casi rappresenta un segnale patologico, o comunque il segno di un disturbo profondo a livello psichico: sono pi? facilmente colpiti da pensieri suicidi i depressi dei sofferenti. Molti tra coloro che si uccidono avevano gi? tentato di farlo in precedenza, e per questo i sistemi sanitari attivano vari programmi di intervento e di recupero per rimuovere le cause degli atteggiamenti autolesivi nella popolazione. I contesti in cui il tasso di suicidi o di tentati suicidi ? pi? alto viene considerato a livello sociologico un contesto problematico e difficile, e l?aumento di suicidi ? comunemente ritenuto un problema sociale. Infine, il codice penale, che evidentemente non punisce il suicida, punisce l?istigazione al suicidio.
In altre parole, il male intrinseco al suicidio si percepisce chiaramente (peraltro anche con il semplice buon senso) in quanto si tratta di un atto contrario alla fondamentale tendenza dei viventi all?autoconservazione e strutturalmente anti-sociale. ? un fenomeno intimamente connesso alla disperazione: la morte del suicida non ? una morte serena, ma una morte disperata e angosciosa, a volte rabbiosa. Gioca talora nel suicida il senso di protesta verso tutto e tutti, e ? secondo vari psicologi ? anche una volont? punitiva nei confronti di altri. Tale fenomeno ? particolarmente visibile nei tentati suicidi e nelle minacce di suicidio: si riscontra sovente il desiderio di ?farsi notare?, di attirare l?attenzione su di s?, come reazione alla difficolt? di ottenere altrimenti amore e comprensione.
D?altra parte, ? ragionevole che giunga all?ipotesi del suicidio proprio colui che non si sente amato. O colui che non riesce ad amare, ovvero che ? completamente chiuso in se stesso. Infatti, la presenza di relazioni affettive profonde ? fonte di forza, di serenit? e di speranza in qualunque momento dell?esistenza e in qualunque situazione fisica. Anche nell?imminenza della morte. Che ? quanto dire: la persona che mantiene relazioni d?amore autentico con altri affronta meglio la sofferenza inevitabile causata dal pensiero della morte, ? facilitato ad accettare la morte stessa come un fatto ineludibile, pu? respirare un clima di pace che, pur nella solitudine che la morte produce, genera interiormente tranquillit?.
La grave ingiustizia dell?atto suicida si riassume con chiarezza nel principio secondo cui la vita ? un bene indisponibile, ovvero qualcosa che caratterizza in profondit? il nostro essere e che non pu? pertanto essere eliminato, come accade invece di un bene che ci si procura autonomamente.
Il suicidio, cos?, non indica solo il disprezzo della vita (che ? un grandissimo dono) ma lo sganciamento dalla realt?, dall?essere. Non a caso i padri della ?rivoluzione sessuale? esibivano, accanto ad atteggiamenti violentemente contrari alla difesa della vita innocente e della famiglia naturale, autentiche apologie della morte e del suicidio, come forme supreme di rifiuto dell?ordine naturale o verit? dell?essere. Una societ? che ?tutelasse? il suicidio sovvertirebbe infatti l?ordine naturale e scardinerebbe dalla base ogni possibile riferimento al bene comune.
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