+ ELIO SGRECCIA
BREVI NOTE SUL CASO DELLA BAMBINA INGLESE CHARLOTTE WYATT
11-12 OTTOBRE 2004
(Pubblicato su “L’Osservatore Romano” di Luned?-Marted? 11-12 ottobre 2004, p. 9)
Il toccante caso della piccola Charlotte Wyatt, una bambina inglese nata fortemente prematura (a 26 settimane di gestazione), ? emerso nelle cronache di questi giorni, riportando in primo piano la questione, mai del tutto risolta, della difficile decisione medica in situazioni cliniche estreme, tra rifiuto dell’accanimento terapeutico e il rischio di scivolare nell’eutanasia.
La piccola, che oggi ha 11 mesi, secondo quanto riportato dai mass-media -non ? certo possibile un accesso diretto ai dati clinici della bimba- versa in condizioni cliniche gravissime, senza una ragionevole speranza di miglioramento, anzi con chiari segnali di ingravescenza. Gi? per ben tre volte, i medici curanti hanno dovuto rianimarla in seguito a crisi respiratorie acute che, con ogni probabilit?, si verificheranno ancora.
Purtroppo, all’interno di questa drammatica situazione umana, ? sorto un forte conflitto: da un lato la coscienza deontologica dei medici, inclini a non intraprendere pi? manovre rianimatorie in caso di crisi respiratorie acute della piccola Charlotte, per non cadere in ci? che essi considererebbero un vero e proprio “accanimento terapeutico”; dall’altro lato, la decisa volont? dei suoi genitori che vorrebbero al contrario la continuazione di ogni intervento medico che possa mantenere in vita la loro figlioletta il pi? a lungo possibile. Queste due posizioni si sono scontrate duramente, fino a coinvolgere, proprio per iniziativa dei genitori di Charlotte, l’intervento dei giudici dell’Alta Corte londinese che, in queste ore, hanno decretato di dare ragione ai medici, con la motivazione che prolungare artificialmente la vita di Charlotte, nelle sue condizioni cliniche estremamente compromesse e senza ragionevole speranza di miglioramento, “non ? nel suo migliore interesse”.
Ovviamente, oltre alle discussioni di tipo etico e deontologico, l’intervento giurisprudenziale volto a determinare in maniera diretta la prassi medica -in questo come in altri casi clinici conflittuali- non ha mancato di suscitare ulteriori dibattiti e polemiche.
Cosa dire di tutto ci?? Crediamo sia bene limitarsi a qualche breve considerazione che prenda soltanto spunto dal caso clinico in questione, per offrire alcune riflessioni pi? generali (del resto, sarebbe del tutto improprio pretendere di analizzare bioeticamente un caso clinico cos? complesso, senza conoscerne tutti particolari).
Una prima considerazione riguarda il fatto che non si pu? dare per scontata la coincidenza tra le deliberazioni ingiuntive dei giudici di un tribunale, i doveri deontologici dei medici e le esigenze etiche legate al trattamento di un certo caso clinico. I criteri del ragionamento etico, infatti, sono ovviamente pi? esigenti e completi degli altri due. In altre parole, ci? che eventualmente i giudici stabiliscono in casi del genere non corrisponde necessariamente alla soluzione pi? corretta dal punto di vista etico. Le norme giuridiche di una stato democratico moderno, infatti, non possono coprire tutta l’area d’interesse dell’etica. In quest’ottica, hanno invece un ruolo primario, senz’altro pi? significativo, i doveri deontologici e la coscienza personale dei medici curanti, i quali sono innanzitutto chiamati a stabilire, con la massima competenza e professionalit?, se il trattamento che intendono attuare ? realmente “proporzionato”, nella data situazione clinica, agli obiettivi medici prefissati: un intervento medico privo di efficacia o i cui benefici sono “sproporzionati” rispetto agli eventuali effetti nocivi, rischi, costi, ecc., che comporta o alla situazione clinica globale del paziente, sicuramente ? un intervento, in linea di principio, moralmente riprovevole.
Oltre al criterio della proporzionalit?, la cui valutazione ? sostanzialmente prerogativa del personale medico, il paziente (se ? in condizioni di farlo) deve valutare, in dialogo con i sanitari, se il trattamento medico proposto presenti in concreto per lui elementi significativi di straordinariet?, in termini di sofferenza fisica e/o psicologica, di aggravi umani, economici, ecc. Se il paziente non ? capace di elaborare le proprie libere considerazioni (come nel caso della piccola Charlotte), sar? un suo legittimo rappresentante a valutare al posto suo detti elementi.
Poich? ? in gioco il sostentamento della vita, bene intrinseco della persona, in generale occorre affermare che un intervento medico valutato come proporzionato ed ordinario risulti anche moralmente obbligatorio sia per il paziente che per i medici. Diversamente, un intervento proporzionato e straordinario, in linea di principio, lascia al paziente la libera facolt? di ricorrervi o meno.
Se questo processo valutativo si svolge in un clima di serio ed approfondito dialogo tra paziente (o chi lo rappresenta legittimamente) e i medici che lo curano, pi? facilmente e con buona probabilit? sar? possibile individuare il trattamento che meglio garantisce la promozione del bene integrale del paziente, nella data situazione clinica. Talvolta si tratter? di intraprendere una terapia, altre volte di astenersi dal farlo.
Si cadrebbe invece in un grave e pericoloso equivoco qualora i medici pretendessero di oltrepassare la loro “competenza” tecnica e facessero scivolare la loro valutazione dal piano della proporzionalit? medica a quello del giudizio di valore sulla vita stessa del paziente, nella sua globalit?: una cosa ? affermare che l’impiego di un trattamento, per quel paziente e in quella situazione clinica, ? medicalmente sproporzionato (secondo i criteri prima esposti) e quindi astenersi dal suo impiego, altro ? affermare che, pur essendo proporzionato alla patologia da curare, un intervento medico non va impiegato perch? le cui condizioni di vita o di salute del paziente sono considerate di “bassa qualit?”, a tal punto da giudicare quella vita “diminuita” nel suo valore e nella sua dignit?. Un tale giudizio sarebbe assolutamente arbitrario ed arrogante e, perci?, moralmente inaccettabile.
Senza pretendere di dare giudizi definitivi su ci? che non si conosce nei dettagli, perci? si pu? affermare che, nel caso della piccola Charlotte, se i medici hanno ritenuto di non dover pi? procedere alla sua rianimazione, valutando in scienza coscienza un tale intervento come “medicalmente sproporzionato” nella data situazione clinica, essi hanno agito in maniera moralmente corretta; se il loro giudizio, invece, si ? basato sulla valutazione di ci? che non compete loro, vale a dire del valore e della dignit? che la vita di questa piccola bimba pu? rivelare ai loro occhi, allora essi hanno commesso una grave errore etico.
Non crediamo invece che si possa sostenere come criterio unico e decisivo sul da farsi medico la volont? dei genitori; nel caso in questione, infatti, essi lottano strenuamente perch? sia messo in atto ogni tentativo per mantenere in vita la figlioletta il pi? a lungo possibile, ma cosa avremmo detto qualora la loro decisione fosse stata opposta? La vita di ciascuna persona deve essere riconosciuta e sostenuta nel suo valore “oggettivo”, non in dipendenza del riconoscimento altrui, neanche quando si trattasse dell’atteggiamento ricco d’amore e di affetto di due genitori nei confronti della loro figlioletta.