Prof. ROBERTO COLOMBO
Pontificia Accademia per la Vita
da: L’Osservatore Romano, 20-8-2003
La trasposizione di alcune biotecnologie riproduttive in vitro dalla medicina veterinaria a quella umana, iniziata trentacinque anni fa con i primi tentativi di fecondazione extracorporea e trasferimento in utero di embrioni umani, nello scorso decennio si ? estesa anche alle tecniche di micromanipolazione dei gameti, e non ? oggi possibile escludere neppure la evenienza di una riproduzione senza il concorso della cellula germinale maschile, come gi? sperimentato in alcune specie di animali attraverso la clonazione. Al di l? delle stesse intenzioni buone di numerose coppie sterili e di alcuni operatori sanitari, anche cattolici, e delle difficili e dolorose circostanze nelle quali questi interventi sono talora richiesti ed effettuati, il ricorso alle tecniche della riproduzione artificiale, pur di tipo omologo e nell’ambito del matrimonio, costituisce una obiettiva degradazione della qualit? antropologica e morale della procreazione umana.
La frattura nella naturale ed essenziale correlazione tra amore, sessualit? e procreazione, aperta dalla contraccezione, si ? allargata con l’avvento della riproduzione artificiale umana per via gamica (fecondazione in vitro) ed ? giunta in tempi molto recenti, attraverso la possibilit? di una riproduzione artificiale agamica (clonazione), ad una radicale separazione dei fattori che costituiscono la relazione uomo-donna e genitori-figlio.
Nel suo configurarsi simultaneamente quale tecnica di riproduzione artificiale e di manipolazione genetica, la clonazione rappresenta una sfida alla antropologia della generazione senza precedenti nella storia dell’umanit? e pone alla coscienza individuale ed alla responsabilit? sociale una gravissima questione morale e civile circa il rispetto e la tutela della vita, del patrimonio genetico, della integrit? psico-fisica e delle relazioni familiari e sociali del nascituro.
Di fronte a questa prospettiva minacciosa che la clonazione getta sulle radici biologiche e antropologiche della vita umana, “la Chiesa non pu? abbandonare l’uomo” che ? la sua “prima e fondamentale via” (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis, 14). Ciascun uomo, ed in particolare quello pi? debole e indifeso perch? esposto alla manipolazione e all’arbitrio di altri uomini, ? affidato alla sollecitudine materna della Chiesa in ragione del mistero del Verbo di Dio che si ? fatto carne (cfr Gv 1, 14). Perci?, la minaccia che la clonazione porta “alla dignit? e alla vita dell’uomo non pu? non ripercuotersi nel cuore stesso della Chiesa, non pu? non toccarla al centro della propria fede nell’incarnazione redentrice del Figlio di Dio, non pu? non coinvolgerla nella sua missione di annunciare il Vangelo della vita in tutto il mondo e ad ogni creatura (cfr Mc 16, 15)” (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, 3).
Oggi questo annuncio della incomparabile dignit? e preziosit? della vita umana, che la distingue da quella di ogni altro vivente e sta a fondamento dei diritti della persona, si fa particolarmente urgente non solo a motivo delle ricorrenti voci che danno per avvenuta o imminente la nascita di bambini clonati, ma anzitutto per il diffondersi di argomentazioni volte a giustificare il ricorso alle tecniche di clonaggio almeno per determinate finalit? ed in particolari circostanze.
Infatti, se il rincorrersi di comunicati e di smentite crea sconcerto nella pubblica opinione, getta discredito sui patrocinatori delle ricerche sulla clonazione umana e fa crescere il timore che essa venga realizzata davvero, l’assimilazione acritica di idee favorevoli ad essa – o anche solo ad alcune sue applicazioni (come la produzione di cellule staminali embrionali autologhe) – indebolisce la risposta della ragione umana di fronte alla eventualit? di una surrettizia introduzione della clonazione umana nella societ? e favorisce un clima culturale di subordinazione delle legittime istanze di difesa della vita e della dignit? dell’uomo ad un progetto tecnologico, economico o ideologico che intendesse promuoverne la legalizzazione. Al contrario, occorre favorire l’esercizio di una critica ragionata da parte di tutti i cittadini.
Tra di essi, i cattolici hanno il diritto ed il dovere di intervenire in merito a talune tendenze culturali permissive della clonazione umana ed alle erronee teorie antropologiche ed etiche che le ispirano.
Il loro intervento ? l’espressione di una responsabilit? nei confronti della comunit? civile e delle sue scelte e rappresenta un irrinunciabile contributo alla vita sociale e politica secondo la concezione della persona, della famiglia e del bene comune che essi ritengono vera e giusta. All’interno del dibattito bioetico pubblico, la legittima pluralit? delle posizioni che rispecchiano sensibilit? e culture differenti impone di trovare soluzioni capaci di rispettare in modo coerente e solido i diritti di tutti i soggetti, in particolare dei pi? deboli e indifesi. La ricerca di tali soluzioni non pu? tuttavia essere fondata “sull’idea relativista che tutte le concezioni del bene dell’uomo hanno la stessa verit? e lo stesso valore” e che non si danno “principi etici che per la loro natura e per il ruolo di fondamento della vita sociale non sono ‘negoziabili’” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, II, 3).
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Sotto il profilo antropologico, le questioni sollevate dalla clonazione umana sono molteplici e complesse, e possono venire raccolte dalla ormai vasta produzione di testi e di dibattiti che ? oggi disponibile.
Esse spaziano dalla identit? e dallo status dell’embrione agamico (originante dal trasferimento di un nucleo diploide in una cellula uovo enucleata e dalla attivazione del processo di riprogrammazione genetica e divisione cellulare) alla riduzione della costitutiva differenza-complementarit? sessuale a mera funzionalit? asimmetrica di ordine citogenetico (ooplasto: femminile; carioplasto: maschile/femminile) e fisiologico (utero: femminile); dalla perversione delle relazioni fondamentali della persona umana (filiazione, consanguineit?, genitorialit?, parentela) al rapporto tra la predeterminazione del patrimonio genetico nucleare e la somiglianza con un altro essere umano vivente o vissuto (identit?/differenza biologica e psichica); dal progetto eugenico di controllo, selezione e fissazione della ereditariet? umana alla riduzione del valore antropologico, fondato sulla identit? personale, al solo valore biologico, stimato dalle qualit? somatiche e psicologiche; dal misconoscimento della eccedenza dell’uomo rispetto alla sua dimensione psico-somatica all’idea di un dominio totale sulla esistenza altrui e di una finalizzazione della vita umana ad un progetto medicale, ideologico, politico o religioso. Queste ed ulteriori questioni antropologiche di natura razionale trovano accoglienza e valorizzazione anche all’interno di una visione cristiana della vita umana, e alcune di esse sono gi? state affrontate in altri luoghi (cfr Pontificia Accademia per la Vita, Riflessioni sulla clonazione, Libreria Editrice Vaticana, 1997; J. Vial Correa e E. Sgreccia, Cellule staminali umane autologhe e trasferimento di nucleo, in: “L’Osservatore Romano”, 5-1-2001, p. 6).
La Chiesa ? consapevole di essere portatrice di una “esperienza di umanit?” e custode di una tradizione di riflessione antropologica alla luce della Rivelazione che possono essere di aiuto anche ai non credenti nella scoperta del senso pi? profondo della vita umana e della sua trasmissione; esse possono, inoltre, contribuire ad un approfondimento delle ragioni di quanti si oppongono alla clonazione umana. In questo contesto, ? conveniente considerare due aspetti della procreazione che fanno pi? lucidamente apparire come improponibile, in quanto oggettivamente contraria alla vita e alla dignit? personale dell’uomo, ogni tecnica che consente la generazione umana al di fuori della integrale relazione sessuata uomo-donna.
Il primo pu? essere raccolto dalla espressione sintetica di Giovanni Paolo II: “Nella biologia della generazione ? inscritta la genealogia della persona” (Lett. alle famiglie Gratissimam sane, 9). La clonazione, in quanto processo di riproduzione “artificiale” per via agamica, si pone in radicale alternativa alla generazione sessuale che appartiene alla “naturale” biologia dell’uomo. Tuttavia, la clonazione non costituisce una questione antropologica a motivo del suo carattere “innaturale” o “artificiale” (una parte degli stessi interventi medico-chirurgici, oggi accettati senza riserve, ripristina oppure sostituisce le funzioni fisiologiche del paziente secondo una processo biofisico o biochimico che non ? quello seguito dalla natura). La sua problematicit? ? invece dovuta alla lacerazione che essa produce nel legame antropologico che unisce la generazione sessuale alla genealogia della persona.
La paternit? e la maternit? umane sono radicate nella biologia della generazione sessuale e allo stesso tempo la trascendono, poich? l’essere persona del figlio – al pari di quella dei genitori – rimanda ad un atto creatore di Dio che ha impresso nel concepito la sua “immagine e somiglianza” (cfr Gn 1, 26). “Dio ‘vuole’ l’uomo come un essere simile a s?, come persona”. Pertanto “la genesi dell’uomo non risponde soltanto alle leggi della biologia, bens? direttamente alla volont? creatrice di Dio” (Gratissimam sane, 9). La generazione ? la continuazione della creazione (cfr Pio XII, Lett. enc. Humani generis), e l’ordine della creazione istituisce quello della procreazione.
In questo senso, e non in altro, si comprende come la clonazione umana viola una “legge naturale”: non perch? infrange una “legge della natura” biologica – che non ha immediata rilevanza normativa, essendo estrinseca alla coscienza dell’uomo – ma in quanto trasgredisce una “legge naturale” della ragione (ordinatio rationis), insita nella coscienza di ogni uomo, che gli consente di partecipare all’ordine della divina provvidenza (cfr S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 91, a. 2) con cui ? disposta le genealogia della persona del figlio.
Un secondo aspetto dell’atto procreativo, che evidenzia la radicale estraneit? della clonazione ad una concezione antropologica integrale dell’essere umano nella sua unit? duale di maschio e di femmina, ? costituito dalla originaria circumsessione di amore, sessualit? e procreazione (cfr A. Scola, Il mistero nuziale. 1: Uomo-donna, Pontificia Universit? Lateranense; Mursia, 1998).
Essa definisce la qualit? propria del generare e dell’essere generato dell’uomo e fa apparire come oggettivamente inadeguata alla dignit? della persona ogni generazione che non sia il termine e il frutto di un atto coniugale. La rottura del nesso sessualit?-procreazione, guadagnato dalla ragione attraverso l’esperienza dell’amore sponsale, ? gi? stata realizzata attraverso la separazione tra il significato unitivo e quello procreativo dell’atto coniugale nella contraccezione cos? come nella fecondazione artificiale (cfr Paolo VI, Lett. enc. Humanae vitae, 12; Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Donum Vitae, II, 4). Liberare la procreazione da ogni residuo condizionamento naturalistico (fino a cancellare il nesso biologico che lega il concepimento alla fusione di due cellule germinali eterosessuali) – affermano alcuni – non aprirebbe l’amore umano ad una piena libert?, consentendo, nello stesso tempo, un migliore controllo sanitario ed eugenetico della generazione ed una pi? consapevole assunzione di responsabilit? nei confronti della vita e del benessere dei figli? Questa pretesa ragione trova le sue radici culturali nel rifiuto, assai diffuso ai nostri giorni, di un discorso circa il fondamento (ontologico) della triade sessualit?, amore e procreazione, e nella dissoluzione di ogni vincolo della libert? con la verit?, condizione imprescindibile della sua realizzazione (cfr Gv 8, 32). Non ? tuttavia difficile mostrare come uno stato di fatto, per quanto diffuso ed accettato da molti, non cambia l’ordine ed il significato oggettivo dei fattori in gioco nella realt? della generazione umana.
Istituisce invece un compito ed una responsabilit? per tutti: l’amore deve essere liberamente scelto nella sua verit? e ci? richiede che sessualit? e procreazione vengano ricomposti nella loro originaria unit?, e non ulteriormente allontanati attraverso la riproduzione agamica.
“Verit? e libert? o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono“. (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Fides et ratio, 90).
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Le ragioni della illiceit? morale della clonazione umana impropriamente detta “terapeutica” sono state considerate in precedenza (cfr Pontificia Accademia per la Vita, Dichiarazione sulla produzione e sull’uso scientifico e terapeutico delle cellule staminali embrionali umane, Libreria Editrice Vaticana, 2000; J. Vial Correa e E. Sgreccia, a.c.), ed il ricorso a questa procedura per l’ottenimento di cellule staminali embrionali autologhe ? stato escluso dal Santo Padre, che ha indicato nella utilizzazione delle “cellule staminali prelevabili in organismi adulti” la via sulla quale “dovr? avanzare la ricerca se vuole essere rispettosa della dignit? di ogni essere umano, anche allo stadio embrionale” (Giovanni Paolo II, Discorso al XVIII International Congress of the Transplantation Society, 29 agosto 2000, in: AAS 92 [2000] 822-826, p. 826). Del resto, il solo fatto della morte dell’embrione, in conseguenza della asportazione della sua massa cellulare interna quando si trova allo stadio di blastocisti, qualifica come illegittimo lo stesso atto clonatorio che lo ha generato agamicamente per questo fine, anche a prescindere dalla considerazione del genus moris della clonazione: la presenza di una intenzione cattiva corrompe in ogni caso l’azione (Catechismo della Chiesa Cattolica, ? 1755).
La clonazione posta in essere allo scopo di indurre la nascita di un bambino (cosiddetta “riproduttiva”) non si colloca all’interno di un progetto strumentale e intenzionalmente distruttivo dell’essere umano, ma prevede l’accoglienza nel grembo materno dell’embrione clonato ed il suo sviluppo intrauterino. In tale contesto, l’atto clonatorio sembra perdere il suo carattere di delitto premeditato contro la vita umana per assumere quello di una forma, estrema ed eccezionale, di riproduzione artificiale.
Analogamente a quanto avvenuto per le tecniche di fecondazione umana in vitro, si sta facendo strada – anche tra alcuni studiosi e membri di comitati consultivi – l’opinione che la grave questione morale sollevata dalla clonazione umana non sia dovuta all’atto clonatorio per se stesso e in se stesso, ma dipenda dall’intenzione per cui la clonazione viene fatta e dalle conseguenze prevedibili per i soggetti coinvolti (il clonato, i donatori del genoma nucleare e dell’ovocita, la famiglia e la societ?). In particolare, siffatta posizione sottolinea come le principali conseguenze negative attualmente prevedibili – anomalie nell’organismo del clonato, disordini cognitivi e/o comportamentali, discriminazione ed altre forme di ingiustizia sociale – sarebbero legate a due fattori contingenti, al venir meno dei quali si imporrebbe una revisione del giudizio morale sulla clonazione umana per la nascita di bambini.
Il primo ? connesso alla presente scarsit? delle conoscenze biologiche sui processi di riprogrammazione genetica e di epigenesi conseguenti al trasferimento di nucleo ed alla imperfezione delle tecniche per effettuare l’enucleazione dell’ovocita ed il trasferimento stesso.
Il secondo fattore fa riferimento alla costruzione di un immaginario collettivo che, rappresentando inverosimilmente le caratteristiche biologiche e psicologiche del clonato, predisporrebbe sia ad una irrazionale domanda di clonazione sia ad una accoglienza negativa dei primi bambini clonati da parte di alcuni soggetti della societ?, esponendoli cos? al rischio di subire discriminazioni e ingiustizie; oppure allude ad una cultura “conservatrice” della famiglia e dei tradizionali rapporti parentali e sociali, legata ad una visione triadica della generazione umana e ad una concezione esclusivamente eterosessuale della genitorialit?, che ostacolerebbe l’accettazione sociale di un ambiente affettivo ed educativo di tipo “alternativo” per la crescita del bambino clonato. In tale prospettiva, il rifiuto della clonazione umana potrebbe fondarsi unicamente sul “principio di precauzione” e, in ragione di questo, possedere un carattere solo provvisorio.
Cos?, sarebbe impossibile qualificare come “moralmente cattiva secondo la sua specie” – il suo “oggetto” – la scelta deliberata della clonazione umana “prescindendo dall’intenzione per cui la scelta viene fatta o dalla totalit? delle conseguenze prevedibili di quell’atto per tutte le persone interessate” (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Veritatis splendor, 79). La tesi, che raccoglie alcune istanze delle etiche consequenzialiste o proporzionaliste, non considera che la moralit? di un atto umano “dipende anzitutto e fondamentalmente dall’oggetto ragionevolmente scelto dalla volont? deliberata” dell’agente (Veritatis splendor, 78), e che si danno degli oggetti dell’atto umano che si configurano come “indegni della persona umana” perch? si oppongono al suo bene integrale. Lo stesso Concilio Vaticano II include tra questi atti tutto ci? che ? “contro la vita stessa” e “l’integrit? della persona umana” e “ne offende la dignit?” (Cost. pastorale Gaudium et spes, 27).
Come la clonazione umana non sarebbe un atto contrario alla vita, all’integrit? e alla dignit? della persona umana?
A differenza della clonazione cosiddetta “terapeutica”, che si configura moralmente come delitto contro la vita in quanto “uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente” (Evangelium vitae, 57) nelle prime fasi della sua esistenza, per taluni la clonazione orientata alla nascita di bambini non potrebbe qualificarsi come contraria alla vita umana perch? risponde ad una “domanda (o esigenza) generativa” che nasce dal “desiderio di un figlio”, la cui vita pu? iniziare grazie al processo di trasferimento e riprogrammazione nucleare.
“Desiderare un figlio” e offrire la propria opera scientifica e medica per “esaudire questo desiderio” ? un “servizio alla vita” e non un “attentato alla vita umana” – si sostiene – e come tale la clonazione, a prescindere dalle conseguenze negative sulla sopravvivenza e lo sviluppo dell’embrione clonato, non pu? essere intrinsecamente cattiva. L’argomentazione della plausibilit? di una risposta biotecnologica al “desiderio di un figlio”, che si esprime in una “domanda di clonazione” come condizione del suo esaudimento in particolari circostanze cliniche o personali, richiede di essere attentamente valutata non in quanto nuova (la tesi ? gi? presente nell’ambito della fecondazione artificiale e di altri interventi della biomedicina in materia di sessualit? e procreazione), ma per il suo carattere allusivo e persuasivo nei confronti di un certa cultura delle relazioni familiari e sociali che esalta le passioni o i sentimenti e svaluta la riflessione razionale di natura antropologica ed etica.
In questo contesto, occorre anzitutto evidenziare la contraddittoriet? intrinseca alla decisione di voler far nascere un figlio attraverso un processo di clonazione.
Chi desidera un figlio e si adopera per averlo (senza o con l’aiuto delle tecnologie biomediche) ritiene che tale desiderio sia un bene, e coloro che cooperano affinch? il desiderio di un figlio possa realizzarsi lo fanno sul presupposto che il desiderio di un figlio espresso dal richiedente ? un bene. Tuttavia, la natura di bene di un desiderio non consiste nel desiderare come tale (non tutti i desideri sono “buoni”), ma nel desiderato e nel suo rapporto con il desiderante.
L’oggetto del desiderio deve essere un bene in s? e deve costituire un bene per chi lo desidera, cio? deve essere desiderato in modo onesto. Non si pu? amare che il bene (cfr Sant’Agostino, De Trinitate, 8, 3, 4). “La vita [umana] ? sempre un bene” in se stessa (Evangelium vitae, 34), e l’uomo “in terra ? la sola creatura che Iddio abbia voluta per se stessa” (Gaudium et spes, 24). Per questa ragione la vita di un figlio ? un bene indipendentemente dai desideri dei genitori e dalla volont? di chiunque: per il solo fatto che esiste, e cos? come (imprevedibilmente) esiste, ogni persona esiste “per se stessa“.
L’oggetto del desiderio giusto di un figlio non pu? essere altro che il figlio stesso cos? come Dio lo “vuole”, e questa ? la “volont? che riguarda la genealogia dei figli e delle figlie delle famiglie umane“. (Gratissimam sane, 9). La clonazione contraddice il riconoscimento incondizionato della vita umana come bene in se stessa e la dedizione incondizionata dei genitori alla sua accoglienza. Far dipendere l’esistenza di una persona dai desideri o dalla volont? causale di altre persone, oppure condizionarne la sua vita ad un progetto eugenetico, significa sottomettere l’uomo al potere dell’uomo e creare una diseguaglianza in forza della disposizione di alcuni sulla vita di altri (cfr. M. Rhonheimer, Etica della procreazione, Pontificia Universit? Lateranense, Mursia, 2000).
La medesima ingiustizia ? alla radice anche di diversi delitti contro la vita umana, come l’aborto, nonostante il fine che quest’ultimo si prefigge sia opposto: cos? come la non desiderabilit? di un figlio non giustifica la sua uccisione, il desiderio di un figlio non giustifica la sua produzione.
“Nella sua origine unica e irripetibile il figlio dovr? essere rispettato e riconosciuto come uguale in dignit? personale a coloro che gli donano la vita […] e non pu? essere voluto n? concepito come il prodotto di un intervento di tecniche mediche o biologiche: ci? equivarrebbe a ridurlo a diventare l’oggetto di una tecnologia scientifica” (Donum vitae, II, 4).
Contro questa tentazione occorre che l’uomo contemporaneo riguadagni la coscienza della propria appartenenza al Mistero dell’essere di Dio: “solo ammettendo questa sua nativa dipendenza nell’essere, l’uomo pu? realizzare in pienezza la sua vita e la sua libert? e insieme rispettare fino in fondo la vita e la libert? di ogni altra persona” (Evangelium vitae, 96).