Insieme per riscrivere la cultura della Vita

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Mancano ormai pochi giorni alla VI edizione della Marcia per la Vita, che si svolgerà a Roma Domenica 8 maggio con partenza da piazza della Bocca della Verità alle ore 9,30. I motivi per cui vale la pena non solo partecipare ad una delle più importanti manifestazioni pro life d’Europa ma anche diffonderla tra amici e conoscenti sono sempre gli stessi e riguardano essenzialmente la necessità di portare all’attenzione dell’opinione pubblica, seppur per un giorno soltanto, un argomento quasi dimenticato su cui vige la più stretta censura, ma che è cruciale per le sorti presenti e future della nostra civiltà: l’aborto di Stato.

Nel nome della legge 194 sono stati uccisi migliaia, milioni di esseri umani innocenti e tale genocidio viene attuato giorno dopo giorni negli ospedali italiani, sotto i nostri occhi.  Il problema, ovviamente, non è solo italiano ma europeo e mondiale; si calcola che hanno superato il miliardo le vittime della pratica degli aborti legalizzati nel mondo intero. Non a caso, la Marcia italiana anno dopo anno vede la partecipazione sempre più massiccia di delegazioni straniere che combattono assieme a noi la buona battaglia, in comunione di idee e obiettivi.

Ma quest’anno c’è una ragione in più per partecipare alla Marcia: la Polonia si appresta a varare, con il sostegno della Chiesa Cattolica polacca, una nuova legge sull’aborto la cui ratio si ispirerebbe ai principi della legge naturale e che pertanto porterebbe a qualificare come reato la pratica dell’aborto volontario, senza compromessi né eccezioni di sorta. Occorre considerare che l’attuale legge sull’aborto in vigore in Polonia non è paragonabile a quella italiana, essendo piuttosto restrittiva. Eppure, il governo polacco sembra intenzionato a varare una nuova legge che contiene il divieto assoluto d’aborto e che quindi vada a prendere il posto di quella attuale, che seppur restrittiva rimane pur sempre una norma iniqua.

Ora, il sottoscritto non intende entrare nel merito della questione polacca né mettere in luce le analogie e le profonde differenze con quella italiana. E’ sufficiente prendere atto del fatto che invertire la rotta è possibile e che il governo di un Paese europeo, resistendo alle enormi pressioni delle lobby europeiste, è intenzionato a mettere nero su bianco che l’aborto è un omicidio e non un diritto della donna. Uno degli inganni più pericolosi che hanno limitato e tuttora limitano la lotta all’aborto consiste proprio nel far credere alle persone che indietro non si può tornare, che rappresenta un atto dovuto quello di considerare irreversibile il “progresso” morale e culturale di una società. In realtà, oltre al fatto che il progresso è un concetto filosofico e non un dogma (a cui sembrano sottomettersi anche le gerarchie ecclesiastiche …), bisogna dire che le leggi che regolamentano l’uccisione dell’innocente nel grembo materno non possono essere considerate il frutto del progresso, inteso come il miglioramento nel tempo delle capacità non solo tecniche ma anche umane di una comunità, ma semmai il contrario, ossia esse costituiscono l’evidenza dell’imbarbarimento morale ed intellettuale di un popolo e di una nazione.

Pertanto, vietare l’aborto significa dare il giusto valore alle cose, riconoscere l’intrinseca dignità della persona umana e dunque rimettere sulla strada giusta l’uomo e l’intera società, che altrimenti continuerebbe a procedere spedita verso il baratro. Gli ultimi dati Istat danno conto di una nazione, quella italiana, che sta letteralmente morendo: le nascite sono in costante diminuzione e sono decisamente insufficienti a garantire il necessario ricambio generazionale. L’aborto, e con esso la mentalità abortista antiumana, è indubbiamente la causa principale dell’inverno demografico del nostro Paese e dell’Europa intera, per cui al danno morale si aggiunge il danno pratico, concreto e misurabile. Di quale progresso si parla, dunque, se l’uomo corre spedito verso l’autodistruzione?

La Provvidenza moltiplicherà le nostre forze e quello che oggi sembra un miraggio domani potrà essere realtà. La cultura di morte imperante può essere combattuta e vinta, proprio come dimostra la storia passata e recente. L’aborto di Stato è il crimine dei crimini, la causa principale di tutte le altre derive morali, pertanto la battaglia per la vita è cruciale per le sorti dell’umanità: come possiamo combattere con coerenza gli assalti che provengono dalla teoria del gender e dall’eutanasia, dal proliferare della pedofilia e delle deviazioni sessuali se non rimettiamo mano alle leggi che pretendono di legittimare l’omicidio dell’innocente? Se non sradichiamo l’idea che la vita nascente non è manipolabile e che non vi può essere un reale diritto dell’adulto ad uccidere la creatura che porta nel grembo?

L’appuntamento è a Roma il prossimo otto maggio, per dire sì alla vita senza eccezioni, senza compromessi. Consapevoli del fatto che è in questo modo che si può veramente cominciare a riscrivere la storia.

(di Alfredo De Matteo su Radio Spada.org)