Della Congregazione per la Dottrina della Fede (1980).
Eutanasia significava, nell’antichit?, una morte dolce senza sofferenze atroci. Oggi ci si riferisce all’intervento della medicina diretto ad attenuare i dolori della malattia e dell’agonia, talvolta anche con il rischio di sopprimere prematuramente la vita. Il termine viene usato con il significato di procurare la morte per piet?, allo scopo di eliminare radicalmente le ultime sofferenze o di evitare dolore a bambini anormali, ai malati mentali o agli incurabili
Dichiarazione sull’Eutanasia
Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede
(1980)
INTRODUZIONE
I diritti e i valori inerenti alla persona umana occupano un posto importante nella problematica contemporanea. Al riguardo, il concilio ecumenico Vaticano II ha solennemente riaffermato l?eccellente dignit? della persona umana e in modo particolare il suo diritto alla vita. Ha perci? denunciato i crimini contro la vita “come ogni specie di omicidio, il genocidio, l?aborto, l?eutanasia e lo stesso suicidio volontario” (GS 27). La Congregazione per la dottrina della fede, che di recente ha richiamato la dottrina cattolica circa l?aborto procurato, ritiene ora opportuno proporre l?insegnamento della chiesa sul problema dell?eutanasia.
In effetti, per quanto restino sempre validi i principi affermati in questo campo dai recenti pontefici, i progressi della medicina hanno messo in luce negli anni pi? recenti nuovi aspetti del problema dell?eutanasia, che richiedono ulteriori precisazioni sul piano etico. Nella societ? odierna, nella quale non di rado sono posti in causa gli stessi valori fondamentali della vita umana, la modificazione della cultura influisce sul modo di considerare la sofferenza e la morte; la medicina ha accresciuto la sua capacit? di guarire e di prolungare la vita in determinate condizioni, che talvolta sollevano alcuni problemi di carattere morale. Di conseguenza, gli uomini che vivono in un tale clima si interrogano con angoscia sul significato dell?estrema vecchiaia e della morte, chiedendosi conseguentemente se abbiano il diritto di procurare a se stessi o ai loro simili la “morte dolce”, che abbrevierebbe il dolore e sarebbe, ai loro occhi, pi? conforme alla dignit? umana.
Diverse conferenze episcopali hanno posto, in merito, dei quesiti a questa Congregazione per la dottrina della fede, la quale, dopo aver chiesto il parere di competenti sui vari aspetti dell?eutanasia, intende con questa dichiarazione rispondere alle richieste dei vescovi per aiutarli ad orientare rettamente i fedeli e per offrire loro elementi di riflessione da far presenti alle autorit? civili a proposito di questo gravissimo problema. La materia proposta in questo documento riguarda, innanzitutto, coloro che ripongono la loro fede e la loro speranza in Cristo, il quale, mediante la sua vita, la sua morte e la sua risurrezione, ha dato un nuovo significato all?esistenza e soprattutto alla morte del cristiano, secondo le parole di s. Paolo: “Sia che viviamo, viviamo per il Signore; sia che moriamo, moriamo per il Signore. Quindi, sia che viviamo, sia che moriamo siamo del Signore” (Rm 14,8; cf. Fil 1,20).
Quanto a coloro che professano altre religioni, molti ammetteranno con noi che la fede in un Dio creatore, provvido e padrone della vita – se la condividono – attribuisce una dignit? eminente a ogni persona umana e ne garantisce il rispetto. Si spera, ad ogni modo, che questa dichiarazione incontri il consenso di tanti uomini di buona volont?, che, al di l? delle differenze filosofiche o ideologiche, hanno tuttavia una viva coscienza dei diritti della persona umana. Tali diritti, d?altronde, sono stati spesso proclamati nel corso degli ultimi anni da dichiarazioni di congressi internazionali; e poich? si tratta qui dei diritti fondamentali di ogni persona umana, ? evidente che non si pu? ricorrere ad argomenti desunti dal pluralismo politico o dalla libert? religiosa, per negarne il valore universale.
I. VALORE DELLA VITA UMANA
La vita umana ? il fondamento di tutti i beni, la sorgente e la condizione necessaria di ogni attivit? umana e di ogni convivenza sociale. Se la maggior parte degli uomini ritiene che la vita abbia un carattere sacro e che nessuno ne possa disporre a piacimento, i credenti vedono in essa anche un dono dell?amore di Dio, che sono chiamati a conservare e a far fruttificare. Da quest?ultima considerazione derivano alcune conseguenze:
1) Nessuno pu? attentare alla vita di un uomo innocente senza opporsi all?amore di Dio per lui, senza violare un diritto fondamentale, inammissibile e inalienabile, senza commettere, perci?, un crimine di estrema gravit?.
2) Ogni uomo ha il dovere di conformare la sua vita al disegno di Dio. Essa gli ? affidata come un bene che deve portare i suoi frutti gi? qui in terra, ma trova la sua piena perfezione soltanto nella vita eterna.
3) La morte volontaria ossia il suicidio ?, pertanto, inaccettabile al pari dell?omicidio: un simile atto costituisce, infatti, da parte dell?uomo, il rifiuto della sovranit? di Dio e del suo disegno di amore. Il suicidio, inoltre, ? spesso anche rifiuto dell?amore verso se stessi, negazione della naturale aspirazione alla vita, rinuncia di fronte ai doveri di giustizia e di carit? verso il prossimo, verso le varie comunit? e verso la societ? intera, bench? talvolta intervengano – come si sa – dei fattori psicologici che possono attenuare o, addirittura, togliere la responsabilit?. Si dovr?, tuttavia, tenere ben distinto dal suicidio quel sacrificio con il quale per una causa superiore – quali la gloria di Dio, la salvezza delle anime, o il servizio dei fratelli – si offre o si pone in pericolo la propria vita.
II. L?EUTANASIA
Per trattare in maniera adeguata il problema dell?eutanasia, conviene, innanzitutto, precisare il vocabolario. Etimologicamente la parola eutanasia significava, nell?antichit?, una morte dolce senza sofferenze atroci. Oggi non ci si riferisce pi? al significato originario del termine, ma piuttosto all?intervento della medicina diretto ad attenuare i dolori della malattia e dell?agonia, talvolta anche con il rischio di sopprimere prematuramente la vita. Inoltre, il termine viene usato, in senso pi? stretto, con il significato di procurare la morte per piet?, allo scopo di eliminare radicalmente le ultime sofferenze o di evitare a bambini anormali, ai malati mentali o agli incurabili il prolungarsi di una vita infelice, forse per molti anni, che potrebbe imporre degli oneri troppo pesanti alle famiglie o alla societ?.
? quindi necessario dire chiaramente in quale senso venga preso il termine di questo documento. Per eutanasia s?intende un?azione o un?omissione che di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. L?eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati.
Ora, ? necessario ribadire con tutta fermezza che niente e nessuno pu? autorizzare l?uccisione di un essere umano innocente, feto o embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato incurabile o agonizzante. Nessuno, inoltre, pu? richiedere questo gesto omicida per se stesso o per un altro affidato alla sua responsabilit?, n? pu? acconsentirvi esplicitamente o implicitamente. Nessuna autorit? pu? legittimamente imporlo n? permetterlo. Si tratta, infatti, di una violazione della legge divina, di un?offesa alla dignit? della persona umana, di un crimine contro la vita, di un attentato contro l?umanit?.
Potrebbe anche verificarsi che il dolore prolungato e insopportabile, ragioni di ordine affettivo o diversi altri motivi inducano qualcuno a ritenere di poter legittimamente chiedere la morte o procurarla ad altri. Bench? in casi del genere la responsabilit? personale possa esser diminuita o perfino non sussistere, tuttavia l?errore di giudizio della coscienza – fosse pure in buona fede – non modifica la natura dell?atto omicida, che in s? rimane sempre inammissibile. Le suppliche dei malati molto gravi, che talvolta invocano la morte, non devono essere intese come espressione di una vera volont? di eutanasia; esse infatti sono quasi sempre richieste angosciate di aiuto e di affetto. Oltre le cure mediche, ci? di cui l?ammalato ha bisogno ? l?amore, il calore umano e soprannaturale, col quale possono e debbono circondarlo tutti coloro che gli sono vicini, genitori e figli, medici e infermieri.
III. IL CRISTIANO DINANZI ALLA SOFFERENZAE ALL?USO DEGLI ANALGESICI
La morte non avviene sempre in condizioni drammatiche, al termine di sofferenze insopportabili. N? si deve sempre pensare unicamente ai casi estremi. Numerose testimonianze concordi lasciano pensare che la natura stessa ha provveduto a rendere pi? leggeri al momento della morte quei distacchi, che sarebbero terribilmente dolorosi per un uomo in piena salute. Perci? una malattia prolungata, una vecchiaia avanzata, una situazione di solitudine e di abbandono possono stabilire delle condizioni psicologiche tali da facilitare l?accettazione della morte.
Tuttavia, si deve riconoscere che la morte, preceduta o accompagnata spesso da sofferenze atroci e prolungate, rimane un avvenimento, che naturalmente angoscia il cuore dell?uomo. Il dolore fisico ? certamente un elemento inevitabile della condizione umana; sul piano biologico, costituisce un avvertimento la cui utilit? ? incontestabile; ma poich? tocca la vita psicologica dell?uomo, spesso supera la sua utilit? biologica e pertanto pu? assumere una dimensione tale da suscitare il desiderio di eliminarlo a qualunque costo.
Secondo la dottrina cristiana, per?, il dolore, soprattutto quello degli ultimi momenti di vita, assume un significato particolare nel piano salvifico di Dio; ? infatti una partecipazione alla passione di Cristo ed ? unione al sacrificio redentore, che egli ha offerto in ossequio alla volont? del Padre. Non deve dunque meravigliare se alcuni cristiani desiderano moderare l?uso degli analgesici, per accettare volontariamente almeno una parte delle loro sofferenze e associarsi cos? in maniera cosciente alle sofferenze di Cristo crocifisso (cf. Mt 27,34). Non sarebbe, tuttavia, prudente imporre come norma generale un determinato comportamento eroico. Al contrario, la prudenza umana e cristiana suggerisce per la maggior parte degli ammalati l?uso dei medicinali che siano atti a lenire o a sopprimere il dolore, anche se ne possano derivare come effetti secondari torpore o minore lucidit?.
Quanto a coloro che non sono in grado di esprimersi, si potr? ragionevolmente presumere che desiderino prendere tali calmanti e somministrarli loro secondo i consigli del medico.
Ma l?uso intensivo di analgesici non ? esente da difficolt?, poich? il fenomeno dell?assuefazione di solito obbliga ad aumentare le dosi per mantenerne l?efficacia. Conviene ricordare una dichiarazione di Pio XII, la quale conserva ancora tutta la sua validit?. Ad un gruppo di medici che gli avevano posto la seguente domanda: “La soppressione del dolore e della coscienza per mezzo dei narcotici… ? permessa dalla religione e dalla morale al medico e al paziente (anche all?avvicinarsi della morte e se si prevede che l?uso dei narcotici abbrevier? la vita)?”, il papa rispose: “Se non esistono altri mezzi e se, nelle date circostanze, ci? non impedisce l?adempimento di altri doveri religiosi e morali: S?”. In questo caso, infatti, ? chiaro che la morte non ? voluta o ricercata in alcun modo, bench? se ne corra il rischio per una ragionevole causa: si intende semplicemente lenire il dolore in maniera efficace, usando allo scopo quegli analgesici di cui la medicina dispone.
Gli analgesici che producono negli ammalati la perdita della coscienza, meritano invece una particolare considerazione. ? molto importante, infatti, che gli uomini non solo possano soddisfare ai loro doveri morali e alle loro obbligazioni familiari, ma anche e soprattutto che possano prepararsi con piena coscienza all?incontro con il Cristo. Perci? Pio XII ammonisce che “non ? lecito privare il moribondo della coscienza di s? senza grave motivo”.
IV. L?USO PROPORZIONATO DEI MEZZI TERAPEUTICI
? importante oggi proteggere, nel momento della morte, la dignit? della persona umana e la concezione cristiana della vita contro un tecnicismo che rischia di divenire abusivo. Di fatto, alcuni parlano di “diritto alla morte”, espressione che non designa il diritto di procurarsi o farsi procurare la morte come si vuole, ma il diritto di morire in tutta serenit?, con dignit? umana e cristiana. Da questo punto di vista, l?uso dei mezzi terapeutici talvolta pu? sollevare dei problemi.
In molti casi la complessit? delle situazioni pu? essere tale da far sorgere dei dubbi sul modo di applicare i principi della morale. Prendere delle decisioni spetter? in ultima analisi alla coscienza del malato o delle persone qualificate per parlare a nome suo, oppure anche dei medici, alla luce degli obblighi morali e dei diversi aspetti del caso.
Ciascuno ha il dovere di curarsi e di farsi curare. Coloro che hanno in cura gli ammalati devono prestare la loro opera con ogni diligenza e somministrare quei rimedi che riterranno necessari o utili.
Si dovr? per?, in tutte le circostanze, ricorrere ad ogni rimedio possibile? Finora i moralisti rispondevano che non si ? mai obbligati all?uso dei mezzi “straordinari”. Oggi per? tale risposta, sempre valida in linea di principio, pu? forse sembrare meno chiara, sia per l?imprecisione del termine che per i rapidi progressi della terapia. Perci? alcuni preferiscono parlare di mezzi “proporzionati” e “sproporzionati”. In ogni caso, si potranno valutare bene i mezzi mettendo a confronto il tipo di terapia, il grado di difficolt? e di rischio che comporta, le spese necessarie e le possibilit? di applicazione, con il risultato che ci si pu? aspettare, tenuto conto delle condizioni dell?ammalato e delle sue forze fisiche e morali. Per facilitare l?applicazione di questi principi generali si possono aggiungere le seguenti precisazioni:
– In mancanza di altri rimedi, ? lecito ricorrere, con il consenso dell?ammalato, ai mezzi messi a disposizione dalla medicina pi? avanzata, anche se sono ancora allo stadio sperimentale e non sono esenti da qualche rischio. Accettandoli, l?ammalato potr? anche dare esempio di generosit? per il bene dell?umanit?.
– ? anche lecito interrompere l?applicazione di tali mezzi, quando i risultati deludono le speranze riposte in essi. Ma nel prendere una decisione del genere si dovr? tener conto del giusto desiderio dell?ammalato e dei suoi familiari, nonch? del parere di medici veramente competenti; costoro potranno senza dubbio giudicare meglio di ogni altro se l?investimento di strumenti e di personale ? sproporzionato ai risultati prevedibili e se le tecniche messe in opera impongono al paziente sofferenze e disagi maggiori dei benefici che se ne possono trarre.
– ? sempre lecito accontentarsi dei mezzi normali che la medicina pu? offrire. Non si pu?, quindi, imporre a nessuno l?obbligo di ricorrere ad un tipo di cura che, per quanto gi? in uso, tuttavia non ? ancora esente da pericoli o ? troppo oneroso. Il suo rifiuto non equivale al suicidio: significa piuttosto o semplice accettazione della condizione umana, o desiderio di evitare la messa in opera di un dispositivo medico sproporzionato ai risultati che si potrebbero sperare, oppure volont? di non imporre oneri troppo gravi alla famiglia o alla collettivit?.
– Nell?imminenza di una morte inevitabile nonostante i mezzi usati, ? lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all?ammalato in simili casi. Perci? il medico non ha motivo di angustiarsi, quasi che non avesse prestato assistenza ad una persona in pericolo.
CONCLUSIONE
Le norme contenute nella presente dichiarazione sono ispirate dal profondo desiderio di servire l?uomo secondo il disegno del Creatore. Se da una parte la vita ? un dono di Dio, dall?altra la morte ? ineluttabile; ? necessario, quindi, che noi, senza prevenire in alcun modo l?ora della morte, sappiamo accettarla con piena coscienza della nostra responsabilit? e con tutta dignit?. ? vero, infatti, che la morte pone fine alla nostra esistenza terrena, ma allo stesso tempo apre la via alla vita immortale. Perci? tutti gli uomini devono prepararsi a questo evento alla luce dei valori umani, e i cristiani ancor pi? alla luce della loro fede.
Coloro che si dedicano alla cura della salute pubblica non tralascino niente per mettere al servizio degli ammalati e dei moribondi tutta la loro competenza; ma si ricordino anche di prestare loro il conforto ancor pi? necessario di una bont? immensa e di una carit? ardente. Un tale servizio prestato agli uomini ? anche un servizio prestato al Signore stesso, il quale ha detto: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli pi? piccoli, l?avete fatto a me” (Mt 25,40). Il sommo pontefice Giovanni Paolo II, nell?udienza concessa al sottoscritto cardinale prefetto, ha approvato la presente dichiarazione, deliberata nell?assemblea ordinaria di questa s. congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma, dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, 5 maggio 1980.
Franjo card. Seper
Prefetto.
Fr. Jerome Hamer, o.p., arciv. tit. di Lorium
Segretario