Famiglia e societ?
20. L’uomo, per la sua condizione personale, diventa un essere non solo familiare ma anche politico e sociale. Nel processo storico questa dimensione viene scoperta parallelamente a quella di individuo o di persona. Il noi ? contemporaneo all'” io-tu“. La dimensione sociale e politica si scopre per due vie: negativa, in quanto nessun uomo basta a se stesso, ma ha bisogno degli altri fin dal primo momento della sua esistenza fino alla morte; positiva, poich? l’uomo singolo comunica con gli altri le sue capacit? e si realizza “mediante il dono sincero di s?”.(48) Nella societ? l’orizzonte della vita si apre ad altre dimensioni. La societ? umana presuppone la famiglia e questa trova nella societ? il suo compimento. Si verifica una specie di circolarit?: la famiglia viene ordinata alla societ? e questa si ordina al servizio della famiglia. Da un lato la persona e la famiglia sono anteriori, e dall’altra la societ? si ordina al bene comune della persona e della famiglia.(49)
L’originalit? della famiglia, il fatto che essa sia il prototipo di ogni societ? umana, ? stata spesso sottolineata nell’insegnamento del Magistero ecclesiale. Tale originalit? ? stata in particolare sottolineata da Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in terris (1963), n.9:
“La famiglia, fondata sul matrimonio contratto liberamente, unitario e indissolubile, ? e deve essere considerata il nucleo naturale ed essenziale della societ?. Verso di essa vanno usati i riguardi di natura economica, sociale, culturale e morale che ne consolidano la stabilit? e facilitano l’adempimento della sua specifica missione”.
Nel Catechismo della Chiesa Cattolica la societ? viene descritta come “un insieme di persone legate in modo organico da un principio di unit?” che supera ognuna di loro. Assemblea insieme visibile e spirituale, una societ? che dura nel tempo: ? erede del passato e prepara l’avvenire” (n. 1880). L’appartenere al tempo ed il dipendere da un principio di unit? che trascende la particolarit? degli individui rende la famiglia un “bene comune”.
Giovanni Paolo II, nella Evangelium vitae ha affermato che “all’interno del ?popolo della vita e per la vita? decisiva ? la responsabilit? della famiglia: ? una responsabilit? che scaturisce dalla sua stessa natura – quella di essere comunit? di vita e di amore, fondata sul matrimonio – e dalla sua missione di ?custodire, rivelare e comunicare l’amore?. ? in questione lo stesso amore di Dio, del quale i genitori sono costituiti collaboratori e quasi interpreti nel trasmettere la vita e nell’educarla secondo il suo progetto di Padre” (n. 92).
La societ? ha la necessit? di conservare, proteggere e promuovere la famiglia. Solo cos? garantisce la propria sopravvivenza. Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa lo esprime con chiarezza:
“Il punto di partenza per un rapporto corretto e costruttivo tra la famiglia e la societ? ? il riconoscimento della soggettivit? e della priorit? sociale della famiglia. Questo intimo rapporto tra le due ?impone anche che la societ? non lasci di compiere il suo dovere fondamentale di rispettare e promuovere la famiglia? (GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle famiglie Gratissimam sane, 17). La societ? e, in particolare, le istituzioni statali – nel rispetto della priorit? e ?antecedenza? della famiglia – sono chiamate a garantire e a favorire la genuina identit? della vita familiare” (n. 252).
Peraltro, il ruolo pubblico della famiglia non ? solamente passivo, come se essa potesse attendersi in modo passivo tutela e protezione dalle istituzioni civiche: essa ? chiamata ad esercitare in modo attivo questa sua funzione. Questo esercizio attivo non si esprime soltanto al proprio interno con la fedelt? reciproca e con il retto esercizio dell’attivit? prima procreativa e poi educativa, nella successione fisica e spirituale delle generazioni. so Questo, che ? gi? molto ed ? per se stesso un dovere per il consesso familiare, ancora non ? tutto. Infatti, alla famiglia va richiesta una sensibilit? sociale e politica pi? ampia, che travalica i confini della dimensione privata e spazia verso forme di incidenza nella vita pubblica. Da questo punto di vista non ? ovviamente un caso che la gran parte delle Carte Fondamentali di numerosi Stati del mondo si facciano carico di definire la famiglia. Rispetto a tutte le altre forme di vita associativa, queste Costituzioni evidenziano un’origine ed una funzione propria, e perci? insostituibile, della famiglia ritagliandole zone di tutela e promozione incomprensibili al di fuori di un’ottica di privilegio, motivata appunto dal carattere decisivo degli adempimenti coi quali pu? e deve contribuire allo sviluppo ed alla stessa sopravvivenza del benessere civile.
I diritti della famiglia
21. Giovanni Paolo II definiva la famiglia, tra l’altro, come una “comunit? di persone”, “comunit? di amore e di vita”, “comunit? di genitori e figli”, ” comunit? di generazioni”. Si possono aggiungere altre definizioni: “comunit? sociale di base” (enciclica Sollicitudo rei socialis [1987], 33), “comunit? di lavoro e di carit?” (Enciclica Centesimus annus [1991], 49). Nella Carta dei diritti della famiglia, pubblicata dalla Santa Sede il 22-10-1983, si dice: “La famiglia, societ? naturale, esiste anteriormente allo Stato e a qualsiasi altra comunit? e possiede diritti propri, che sono inalienabili” (preambolo, D).
In tutte queste definizioni sono evidenti alcuni tratti della realt? familiare. La prima caratteristica, e anche la pi? chiara, riguarda la dimensione comunitaria della famiglia. La famiglia ?, comunque la si voglia presentare e a qualunque suo aspetto s’intenda fare riferimento per definirla in chiave empirica o essenziale, una comunit?. La natura plurale si manifesta quindi come indole coessenziale, condizione della possibilit? stessa di chiamare famiglia una determinata forma di vita.
Una seconda condizione dell’ente famiglia riguarda una ben precisa composizione, che introduce un discorso sui ruoli endofamiliari che, in qualche modo, costituiscono la matrice della famiglia e di ogni possibile sviluppo. La legge naturale ci addita l’inclinazione, insita profondamente nella natura, tra uomo e donna e la sua conseguente unione come fonte unica del matrimonio e della vita. In tal senso, non vi ? famiglia se non come frutto delle persone di sesso diverso: unione, perci?, matrimoniale.
L’apertura alla vita ? un ulteriore terzo carattere essenziale della famiglia rettamente intesa: apertura almeno potenziale. La procreazione s’innesta all’interno di un contesto affettivo, stabilizzato dal matrimonio e quindi gi? costituito come famiglia in forza dei vincoli permanenti che i coniugi consapevolmente vogliono assumere con il matrimonio. La stessa caratteristica pubblicit? dell’evento nuziale, che ha origini immemorabili, e non solo nella cultura e nella tradizione cristiana, evidenzia esattamente questo carattere di assunzione di impegno fermo, di coinvolgimento della comunit? pi? vasta nella promessa di fedelt? da cui dipende il consolidamento del nuovo nucleo familiare.
Il carattere giuridico dell’istituzione familiare ? confortato dalla presenza, nella famiglia, di quei requisiti di sicurezza (nei legami intracoppia e di fronte agli abusi esterni), di cooperazione (caratteristica del bonum coniugii) e durata (inserzione nel tempo) che sul piano fenomenologico configurano ogni apparizione del giuridico. La famiglia ? un’istituzione giuridica, come mostra la stessa storia dell’istituzione, se si considera la sua antichissima configurazione giuridica del matrimonio e della famiglia, e non solo nel diritto romano arcaico, ma anche in altre espressioni evolute del sentire giuridico dell’antichit?.
I diritti della famiglia sono strettamente connessi con i diritti dell’uomo: infatti se la famiglia ? comunione di persone, la sua autorealizzazione dipende in misura significativa dalla giusta applicazione dei diritti delle persone che la compongono. Alcuni di questi diritti concernono immediatamente la famiglia nella sua specificit?, come il diritto dei genitori alla procreazione responsabile e all’educazione della prole; altri diritti invece riguardano il nucleo familiare in modo generico: tra questi di singolare importanza sono il diritto alla propriet?, specialmente alla propriet? cosiddetta familiare e il diritto al lavoro.
22. Comunit? di persone, la famiglia ? la “comunit? sociale di base”. I poteri pubblici, pertanto, devono proteggerla, poich? essa ? anteriore allo Stato e ad ogni organizzazione politica. Tale necessaria protezione ? stata oggetto di diverse precisazioni nell’insegnamento della Chiesa. All’inizio, esso sottolineava, a giusto titolo, il legame tra famiglia, procreazione e accesso dei genitori alla propriet? privata. In seguito, ? stato sottolineato il legame tra famiglia, procreazione e diritto dei genitori al lavoro. Gli avvenimenti di cui la societ? ? stata teatro in questo inizio del XXI secolo, hanno spinto la Chiesa a denunciare le ingerenze abusive dello Stato nell’educazione dei figli.
La Chiesa raccomanda, in particolare ai genitori e ai pastori, una grande vigilanza di fronte ai tentativi tendenti a sostituire l’insegnamento alla castit?, tale come pu? avvenire all’interno della famiglia o nello studio del catechismo, con corsi di educazione sessuale che presentano serie riserve. Procreare non si riassume nel trasmettere la vita biologica, ma vuol dire formare ai valori morali e religiosi. Ci? presuppone che alle famiglie sia riconosciuta la libert? d’educazione e pi? ancora, in virt? del principio di sussidiariet?, (51) che sia protetta dallo Stato la libert? di cui i genitori devono godere per educare i propri figli (cf. PIO XI, enciclica Mit Brennender Sorge [1937), 51).
Questa libert?, che deve essere riconosciuta ai genitori nel quadro del ruolo procreatore della famiglia, copre d’altronde un ventaglio estremamente vasto. Se raggiunge il suo punto culminante nella responsabilit? educativa dei genitori, essa deve essere rispettata e riconosciuta fin dall’inizio della vita. Nessun potere costituito, nessuno Stato, nessuna organizzazione internazionale possono pretendere di dettare legge per quanto riguarda il comportamento dei genitori quando si tratta, per loro, di trasmettere pienamente la vita.
Il diritto dei nascituri alla vita
23. L’aborto e l’infanticidio evidenziano l’assenza di una tutela giuridica efficace nei confronti del concepito. Tali pratiche, infatti, costituiscono una violazione del diritto fondamentale alla vita che spetta a ciascun essere umano sin dal concepimento. I recenti progressi della genetica, infatti, hanno condotto alla “preziosa conferma” dell’esistenza della vita individuale a partire dalla fecondazione. In particolare, ? la scienza stessa che oggi ? in grado di osservare l’inizio della vita, a rivelare la trascendenza del fenomeno dell’unione dei gameti e ad osservare come da questa scaturisce un nuovo essere umano, diverso dalle persone che lo hanno generato.
Nonostante questa evidenza scientifica, molte legalizzazioni sull’aborto impediscono un’equa difesa della dignit? e della vita di ogni individuo umano. In tal senso, paradigmatico ? il caso del “diritto all’aborto” sancito dalla sentenza della Corte Suprema americana, Roe vs. Wade (1973).(52)
Sfortunatamente questa stessa forma di pensare si manifesta in altri paesi e in altre legislazioni. In questi sistemi giuridici, non tutti gli esseri umani sono persone, ma solo coloro ai quali di volta in volta si decida di riconoscere una protezione adeguata. Ci? significa attribuire allo Stato il diritto di decidere chi sia persona e chi non lo sia. E quindi trattare gli esseri umani applicando le stesse regole che si applicano al regno animale. Lo Stato protegge infatti gli altri esseri viventi favorendo il suo sviluppo ed eventualmente impedendo e punendo la loro distruzione: si preservano specie in estinzione, si punisce la crudelt? contro gli animali, si protegge anche l’ambiente. Tuttavia da ci? non si deduce che le balene, i pinguini O l’ambiente siano soggetti di diritti: sono protetti o tutelati dall’ordinamento giuridico in quanto beni utili all’uomo. Non sono protetti come soggetti di diritti, ma come oggetti. Dunque esiste una differenza sostanziale tra la tutela che l’ordinamento giuridico attribuisce a detti esseri e i diritti che riconosce agli esseri umani. Risulta quindi ovvio che la protezione assicurata al nascituro da quella prospettiva ? impropria e insufficiente per la sua stessa natura, perch? parte dalla negazione della personalit? giuridica in contrasto con un dato della realt?: il modo umano di essere un individuo ? il modo personale; il nascituro ? una persona umana. (53)
Il rifiuto di riconoscere la personalit? giuridica del nascituro non concorda con la grande ricchezza dei documenti internazionali a tutela dei diritti umani. Infatti, innumerevoli documenti hanno visto la luce nel secolo XX davanti alla commozione universale provocata dal susseguirsi di guerre e uccisioni. La pace mondiale dovrebbe essere costruita, garantita e protetta sul riconoscimento dei diritti dell’uomo per tutta la comunit? umana. Si ? voluta evitare la ripetizione di tali massacri mediante il riconoscimento di uno status giuridico universale della persona umana, di un insieme di diritti che si dovranno garantire a tutte le persone, a prescindere dal luogo in cui abitano, dal colore della pelle oppure dallo sviluppo fisico, culturale o economico a cui siano giunti. Tutti questi diritti e garanzie sono derivati dalla dignit? dell’uomo. Molto opportunamente, questi documenti internazionali non pretendono di attribuire diritti, ma di riconoscerli, di dichiararli; essi partono cio? dal dato evidente che sono preesistenti, precedenti alla consacrazione positiva. Lo Stato quindi non pu? che riconoscerli, ma quando, pur ammettendo di trovarsi davanti ad un individuo umano, gli rifiuta la protezione dovuta a tutti i membri della specie – e questo accade con le legislazioni favorevoli all’aborto -, allora contraddice gli stessi fondamenti del suo essere Stato, cio? entit? giuridica e sociale protettrice dei diritti insiti nella natura dell’individuo e della societ?.
“Con l’autorit? che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in comunione con i Vescovi – che a varie riprese hanno condannato l’aborto e che nella consultazione precedentemente citata, pur dispersi per il mondo, hanno unanimemente consentito circa questa dottrina dichiaro che l’aborto diretto, cio? voluto come fine o come mezzo, costituisce sempre un disordine morale grave, in quanto uccisione deliberata di un essere umano innocente. Tale dottrina ? fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, ? trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal Magistero ordinario e universale. Nessuna circostanza, nessuna finalit?, nessuna legge al mondo potr? mai rendere lecito un atto che ? intrinsecamente illecito, perch? contrario alla Legge di Dio, scritta nel cuore di ogni uomo, riconoscibile dalla ragione stessa, e proclamata dalla Chiesa”.(54)
Oggi si pretende di banalizzare in qualche modo l’aborto con il pretesto che l’autorit? non deve penalizzare questo delitto abominevole. (55) Essere su questa linea significa ridurre o negare che il delitto, per il fatto stesso di esserlo, richiede una pena. Non ? concepibile che un delitto possa restare impunito. Un altro aspetto si riferisce alla seguente questione: il giudice, quando esamina i casi, ha la possibilit?, questo s?, di vedere quali sono gli aspetti aggravanti o attenuanti e disporre di conseguenza. Banalizzare l’aborto cos? trasformerebbe il delitto in diritto.(56)
Famiglia, anello di congiunzione tra le generazioni
24. Un importante indicatore del valore sociale della famiglia ? la capacit? di rafforzare il legame tra le generazioni, le relazioni intergenerazionali. Le ricerche dei sociologi ci dicono in proposito che viviamo in una societ? che sta progressivamente perdendo sia il senso della propria tradizione sia la fiducia nel futuro. Specialmente le nuove generazioni sembra che fatichino molto a sentirsi “generate” e capaci a loro volta di “generare”. Quali che siano i motivi di questa incapacit?, una cosa ? certa: la famiglia ? il luogo privilegiato per la salvaguardia del senso della successione delle generazioni. L’abitudine a vivere con gli altri, a condividere casa, cose e affetti, rafforza sia il legame con la piccola comunit? di appartenenza sia la capacit? di emanciparsi come soggetto autonomo. L’autonoma identit? di ogni persona dipende infatti dalla capacit? che ognuno ha di raccontarsi, raccontare la propria storia come parte di altre storie. La nostra epoca individualistica sembra averne dimenticato il senso, ma le interminabili genealogie di alcune pagine bibliche stanno precisamente ad indicare la catena generazionale in cui sono radicate le nostre identit?. Dimenticare tale catena non rende pi? autonomi n? pi? liberi. E questo lo sentono benissimo i giovani, cresciuti spesso in un contesto storicamente (quindi anche eticamente) neutro, il pi? delle volte senza fratelli e sorelle, con genitori a loro volta spaesati e, come i figli, alla ricerca spesso disperata di radici.
Nel momento in cui la famiglia rafforza il legame tra le generazioni, essa svolge un’ulteriore, importantissima funzione sociale: salvaguardare la tradizione di una comunit?. Dopo un lungo periodo di diffidenza e di ostilit?, il concetto di tradizione sta giustamente riguadagnando un certo prestigio all’interno della cultura occidentale. A poco a poco, ci stiamo rendendo conto che esso ha molto a che vedere con la memoria, l’identit? e la speranza nel futuro di una comunit?. Sentiamo il bisogno di ricollegare la nostra casa alla casa dei nostri genitori e a quella dei nostri figli e dei nostri nipoti. In questo modo, insieme all’importanza della “catena generazionale”, riacquistiamo anche un nuovo senso della nostra realt? individuale.(57) Il legame familiare ci richiama sia la memoria (i nonni) sia il futuro (i nipoti).
Questo rapporto tra la sequenza dei genitori ha una grande importanza anche secondo una prospettiva ecclesiale. Di fatto ? fortemente sottolineato gi? nel Vecchio Testamento. Le meraviglie operate da Dio per il suo popolo sono raccolte e poi trasmesse di generazione in generazione. ? nella successione delle generazioni umane che Dio genera il popolo prescelto. I due sensi del termine generazione si rinviano dunque l’uno all’altro: la generazione, ? anzitutto la trasmissione della vita, in tutte le sue dimensioni. La generazione ? anche il tempo che dura tra il momento in cui un uomo ? stato generato e quello in cui ? stato chiamato lui stesso a generare. Luogo per eccellenza della generazione, la famiglia ? dunque la prima cellula liturgica della comunit? credente: vi si fa memoria delle meraviglie operate da Dio nel passato e vi si celebra la fedelt? di Dio alle sue promesse per l’avvenire.
Famiglia, unit? economica
25. La dimensione procreatrice ed educatrice della famiglia costituisce un indubbio fattore economico. E come tale deve essere riconosciuta. I tentativi di considerare l’attivit? economica come indipendente dal profondo significato spirituale di ogni attivit? umana alterano il fondamento ultimo della stessa scienza economica come scienza umana. Se tutta l’attivit? scientifica e tecnica ha come ultimo scopo il servizio alla persona umana, nell’attivit? economica questa affermazione acquista un realismo ancor pi? profondo. L’attivit? economica si rivolge all’uomo che, a sua volta, d? un Senso all’economia. I modelli economici risulteranno superflui Se non sono in grado di interpretare e soddisfare, nella misura possibile, le necessit? umane.
Nel grembo della famiglia ci devono essere condizioni privilegiate che consentano alle persone che costituiscono l’unit? familiare di soddisfare i propri legittimi bisogni. Far s? che questo avvenga deve essere l’obiettivo sia delle famiglie sia dell’insieme della societ?. Nella famiglia confluiscono i redditi ed ? in essa che i membri scelgono un ordine gerarchico delle loro necessit? al fine di soddisfarle. Questo costituisce uno degli obiettivi economici dell’unit? familiare ed equivale a preoccuparsi per la nostra vita e per il nostro benessere. Tuttavia, quanto pi? progredisce la cultura e pi? capacit? hanno gli uomini di raggiungere, mediante un laborioso processo di produzione, i beni necessari per la soddisfazione dei propri bisogni, tanto pi? diventa urgente per loro la previsione anticipata di quella soddisfazione, cio? la scoperta delle loro necessit? per i futuri segmenti temporali. Nella comunit? familiare l’uomo agisce come soggetto di consumo, in cui l’azione responsabile dell’unit? familiare delimita e orienta il concetto di necessit? e soddisfazione.
Tuttavia, la dimensione economica della famiglia non si riduce alla sola economia di consumo. Talvolta la stessa famiglia svolge un ruolo importante nella produzione, tramite un’attivit? imprenditoriale, ordinando i mezzi di produzione e rendendoli capaci di soddisfare i bisogni di altri membri della famiglia umana. Insieme a quest’azione imprenditoriale generica connessa all’agire umano, la famiglia sviluppa frequentemente compiti produttivi di beni e servizi, concretizzando il principio che l’impresa ?, prima di ogni cosa, comunit? di persone al servizio dell’intera societ?. La liceit? dei fini e il corretto uso delle risorse, soprattutto quelle umane, come pure la loro adeguatezza, saranno ci? che dar? una qualifica economica e sociale all’attivit? imprenditoriale familiare.
Un dovere particolare s’impone quindi allo Stato e ai poteri pubblici in generale per aiutare la famiglia ad essere il luogo in cui si esercita la procreazione umana. Da Leone XIII, in effetti, nella celebre enciclica Rerum novarum (1891), il magistero supremo della Chiesa sottolinea la necessit? di tener conto della famiglia nella remunerazione del lavoro, in quanto il lavoro ? anzitutto servizio della famiglia. “Per legge inviolabile di natura – scrive il Papa – incombe al padre il mantenimento della prole […], egli ? spinto a provvedere loro in modo che nel difficile corso della vita possano onestamente far fronte ai propri bisogni” (n. 10). Nella Quadragesimo anno (1931) (n. 76 s.), Pio XI precisa che nel fissare il salario bisogna, certo, prendere in considerazione la situazione dell’impresa e il bene comune, ma aggiunge subito che il ruolo della donna e della madre merita un’attenzione particolare. Questo insegnamento ? ripetuto da Giovanni Paolo II in vari testi e, in particolare, nella Laborem exercens (1981), ai nn. 19, 3-6.
Gli economisti concordemente affermano che il volume del prodotto dipende dall’utilizzo dei fattori di produzione usati. In pi?, il volume di reddito nazionale di un paese ? in funzione, tra l’altro, in forma molto significativa, del volume quantitativo e della qualit? delle risorse umane a disposizione dell’economia. ? nella famiglia che l’uomo viene educato, formato, impara a impegnarsi, trova la base per l’apprendimento delle conoscenze e delle tecniche rivolte all’esercizio professionale e si esercita nella virt? della laboriosit?; ? la famiglia che cooperer? alla sua realizzazione personale, al suo bene. In tutto ci? si vede uno dei principali aspetti dello stretto rapporto tra famiglia e vita. Un deficit di “famiglia” porta inesorabilmente ad un deficit di popolazione e, insieme ad esso, ad una restrizione delle possibilit? economiche presenti e future di una societ?.
Occorre dunque comprendere bene il significato dell’espressione “capitale umano”. A volte ? intesa in senso abbastanza riduttivo, come se l’uomo debba essere formato in vista di un miglioramento della sua produttivit?, del suo rendimento, della sua capacit? di produrre e di consumare. Questa concezione riduttiva del capitale umano richiama, necessariamente, una concezione utilitarista della famiglia, secondo la quale questa deve essere utile alla vita economica, e il suo contributo principale alla prosperit? deve consistere nel formare un capitale umano inteso nel senso di economicamente efficace. Occorre dunque spogliare la nozione di capitale umano da ogni ambiguit? e ammettere che tale nozione abbraccia l’uomo nella sua integralit?, con la capacit? economica, certo, ma anche con tutte le sue altre potenzialit? che nascono e si sviluppano nella famiglia.
Famiglia aperta e invecchiamento della popolazione
26. L’individualismo esasperato, che pervade le societ? occidentali, trova nella famiglia aperta all’amore e alla vita una sorta di argine. Gi? di per s?, i legami parentali pi? estesi contribuiscono infatti ad avvicinare le persone. Oggi non pu? accadere che due genitori decidano di mettere al mondo due, tre, quattro o cinque figli senza un forte senso della gratuit? della vita (la si riceve e la si d?) e senza un grande senso di consapevolezza, di fiducia, di responsabilit?. Quei genitori sanno di addossarsi, per s? e per i loro figli, una grande responsabilit?, ma lo fanno perch? hanno fiducia in Dio e nella vita e perch? sentono che, nonostante tutti i rischi e le incertezze, ne vale la pena. Non ? affatto paradossale che quelle societ? sempre pi? invecchiate fatichino a salvaguardare il senso della tradizione. Sono le societ? giovani che riescono a giovarsi veramente delle proprie tradizioni, le vecchie le logorano e, alla fine, le fanno morire.
I bassi tassi di fecondit? stanno rivelando un’altra importante e forse inattesa funzione sociale della famiglia: il sostegno che quest’ultima offre al dispiegamento di una normale dialettica democratica. Dietro il problema dei tassi di fecondit? troppo bassi in Occidente c’? una catastrofe morale e culturale. Si ? cercato e si cerca ancora di usare la cosiddetta “esplosione demografica” in modo unilaterale e strumentale esclusivamente per far s? che i governi dei Paesi cosiddetti sviluppati pongano il “controllo della popolazione” tra le prime emergenze, sia interne che internazionali, spesso senza alcun riguardo per la dignit? delle persone. Oggi, per?, specialmente in Occidente, vediamo manifestarsi – come ? stato gi? sottolineato – un’implosione demografica inquietante e allo stesso tempo drammatica. Tuttavia, se i paesi occidentali si preoccupano, ? soprattutto per le conseguenze economiche che essa comporta. Ad esempio, chi pagher? le nostre pensioni? L’assistenza sanitaria? I disoccupati? Basteranno i figli degli immigrati?
Ma quello economico ? soltanto un aspetto del problema. Le conseguenze sul piano sociale e politico sono pi? allarmanti. In una societ? che invecchia prevale infatti, inevitabilmente e alla lunga, il conflitto tra la grande proporzione della popolazione degli anziani e la percentuale sempre pi? esigua dei giovani. In fondo gi? adesso la salvaguardia delle pensioni in Occidente viene considerata molto pi? importante della creazione di nuove opportunit? di lavoro. L'”inverno demografico” potrebbe diventare anche l’inverno della democrazia. Anche qui vediamo dunque emergere il grande valore sociale della famiglia aperta alla vita.
NOTE
48 CS 24.4; cf. Familiaris Consortio 11 ,5; cf. PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA, Sessualit? umana: verit? e significato, n. 14.
49 SAN TOMMASO, Summa theologiae, II-II. 64,2: Quaelibet persona singularis comparatur ad totam communitatem, sicut pars ad totum. Ibid., I-II, 21, 4 ad 3: Homo non ordinatur ad communitatem politicam secundum se totum et secundum omnia sua.
50 Cf. CS 52.2; PAOLO VI, Enciclica Populorum progressio (1967), 36. Sulle relazioni intergenerazionali, vedere l’importante volume pubblicato dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, Intergenerational Solidarity, Citt? del Vaticano 2002.
51 Cf. I diritti della famiglia alle soglie del terzo millennio, Dichiarazione finale dei partecipanti al Convegno dei politici e legislatori d’Europa, Varese, 8-10 marzo 1993, n.6: “…in virt? del principio di sussidiariet?, lo Stato deve rispettare la giusta autonomia della famiglia e guardarsi dal regimentarne la vita interna” (L’Osseroatore Romano, 24-4-1993, p.4).
52 In essa, infatti, la Corte ha degradato la vita fetale ad un livello inferiore a quello di una vita pienamente umana, contraddicendo la stessa Costituzione che impone allo Stato di proteggere la vita di ogni persona secondo i criteri di legalit? e giustizia. Nel tentativo di ricercare un equilibrio fra l’interesse della donna ad abortire e l’interesse dello Stato a proteggere i propri cittadini, inclusi i nascituri, la Corte ha scelto di graduare il valore e la tutela del feto in funzione dell’epoca gestazionale raggiunta. La sentenza sancisce il pieno diritto alla privacy della donna nella scelta dell’aborto fino al secondo trimestre ed estendendo tale diritto anche al terzo trimestre quando insorga un qualsiasi pericolo per la vita o la salute psico-fisica della madre. In tal modo il concepito, di fronte ai diritti fatti valere dalla propria madre, non ha alcuna possibilit? di essere riconosciuto come persona, ossia come soggetto di diritto, meritevole in s? e per s? di una tutela giuridica da parte dello Stato.
53 PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA, Famiglia e diritti umani, n.29: “Fin dal momento del concepimento, egli ? sempre una persona”. La pratica del “partial birth abortion” ? l’applicazione del relativismo filosofico e del positivismo giuridico: invece di lasciare nascere il bambino dalla testa, il medico cambia la sua posizione per farlo nascere dai piedi. Prima che la testa del bambino esca gli viene aspirato il cervello mediante un ago inserito nella nuca. Cf. LEXICON, 699-704.
“Proprio a partire dai dati biologici disponibili, riteniamo non esservi alcuna ragione significativa che porti a negare l’essere persona dell’embrione, gi? in questa fase (del preimpianto) (PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA, Dichiarazione finale della XII Assemblea Generale del Congresso Internazionale sul tema “L’embrione umano nella fase del preimpianto. Aspetti scientifici considerazioni bioetiche”, 27-28 febbraio 2006).
La CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Donum Vitae, 22 febbraio 1987, I, 1 dichiara: “Certamente nessun dato sperimentale pu? essere per s? sufficiente a far riconoscere un’anima spirituale; tuttavia le conclusioni della scienza sull’embrione umano forniscono un?indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza personale fin da questo primo comparire di una vita umana: come un individuo umano non sarebbe una persona umana?”
Cf. PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA, Famiglia e diritti umani (9 dicembre 191 28-29.
54 GIOVANNI PAOLO II, Evangelium Vitae, 62.3-4.
55 “Perci? la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; l’aborto e l’infanticidio sono delitti abominevoli” (GS 51,3).
56 Cf. Evangelium Vitae, 11.
57 In molti casi i figli di genitori sconosciuti rimangono tutta la vita ossessionati dalla necessit? di ricercare i loro padri o/e madri. Perch? tutti noi ci definiamo come figli di… genitori determinati.
PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA
FAMIGLIA E PROCREAZIONE UMANA