«Non è la donna a volere l’aborto»

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Mazzi e il libro “Indesiderate”:
«Gravidanza vista come “ostacolo”dalla società»

“Indesiderate”… da chi? È questa la domanda che sorge spontanea ascoltando la presentazione del libro di Andrea Mazzi, dal titolo, appunto, “Indesiderate”. Il soggetto sono le gravidanze difficili.
A dieci anni dalla scomparsa del proprio fondatore, i volontari dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII continuano a fare incontri per ricordare l’insegnamento di Don Oreste Benzi. Ieri, al Seminario Metropolitano di Corso Canalchiaro, un tema molto caro a Don Oreste è stato messo sul tavolo con la presentazione del testo firmato dall’attivista Andrea Mazzi, insieme ai meno recenti “Non siamo in vendita” di Irene Ciambezi e “Ascoltando Don Oreste Benzi” di Andrea Montuschi.

Le gravidanze difficili sono quelle che spingono le donne a considerare l’aborto. Vengono anche definite indesiderate, ma l’intento di Mazzi è quello di problematizzare questo assunto presentando le storie di numerose donne. «Sono anni che incontro queste gravidanze difficili, – ha spiegato l’autore – e la maggior parte delle donne vorrebbe continuare la gravidanza. La risposta più normale che ricevo è: “io vorrei continuare, ma…”». In vent’anni di attivismo, Mazzi ha incontrato un centinaio di mamme. Molte di queste storie sono divenute il cuore del suo libro: «Melissa ha detto “io vorrei continuare, ma mio marito non ne vuole sapere”. – ha citato l’autore – Lei era felicissima di essere rimasta incinta del terzo figlio, ma il marito era angosciato, soprattutto per via di una situazione lavorativa barcollante.
Questa angoscia ha invaso infine anche la moglie, che è andata ad abortire.

Molte storie riguardano ragazzine giovani, che vorrebbero tenere il bambino ma che si ritrovano davanti la contrarietà dei propri parenti. Ho raccolto la storia di questa giovane di 16 anni che si è rivolta al consultorio dicendo “aiutatemi, per favore, non voglio uccidere mio figlio”».


Il lavoro gioca un ruolo fondamentale: «I contratti a tempo determinato – ha rilevato Mazzi – permettono al datore di lasciare a casa la donna quando lei rimane incinta. Semplicemente, il contratto non viene rinnovato».

A partire dagli incontri con le mamme, Mazzi ha iniziato una riflessione più ampia: «Non è la donna che non vuole la gravidanza, ma chi le sta intorno. Viviamo in una società abortista che lascia sola sia la madre che il bambino. Una donna che fa molti figli è vista come un’incosciente anche in una situazione di denatalità gravissima in cui ogni bambino dovrebbe essere visto come un dono. La società dice alla donna “sei libera di scegliere”, ma il percorso dell’aborto è semplice e gratuito, mentre la scelta di continuare la gravidanza è difficile, con aiuti ridotti all’elemosina».
E ha aggiunto: «Il libro vuole smontare diversi luoghi comuni, tra cui quello per cui “non è giusto mettere al mondo un infelice”. È un messaggio contraddittorio: in quanto società tuteliamo i diritti dei disabili ma poi la disabilità nel feto è motivo d’aborto, a piena ragione di quella “società dello scarto” di cui parla Papa Francesco. Inoltre, in tutto questo percorso c’è una completa estromissione del padre, che per come sono fatte le leggi non ha la minima voce in capitolo. La situazione attuale è negativa per tanti aspetti.
Penso però che oggi abbiamo, possiamo sognare una società diversa. Possiamo e dobbiamo farlo. Siamo la generazione chiamata a costruire una società a misura del bambino e della mamma. Una società in cui l’aborto possa rimanere solo un brutto ricordo».

Eleonora Degoli per http://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca/2017/11/16/news/non-e-la-donna-a-volere-l-aborto-1.16128189

Aborto: il racconto delle donne

Di seguito una delle testimonianze raccontate nel libro Indesiderate di Andrea Mazzi.

«Credo che diventare mamma sia la cosa più bella di questo mondo ma io purtroppo ci ho rinunciato. Quando ho scoperto di essere incinta ero davvero felice perché finalmente potevo realizzare il mio sogno: stringere tra le mie braccia mio figlio. Però alcune situazioni mi hanno portata a fare la mia scelta: portare avanti la mia gravidanza e mettermi contro tutti, compreso i miei genitori, o rinunciare. In quel momento non sapevo cosa fare, non sapevo cosa scegliere e soprattutto non sapevo quale fosse la cosa più giusta da fare in quel momento. Ho passato dei giorni bruttissimi, piangendo e sperando che quella che stavo per prendere fosse la decisione più giusta.

Nei primi giorni non avevo ancora maturato la possibilità di diventare mamma e infatti odiavo quel bambino che dentro di me si stava formando, perché dovevo decidere sulla sua vita. Ma il mio odio si è trasformato in amore quando l’ho visto per la prima volta in ecografia. La gioia che ho provato quando il dottore mi ha detto “Questo è il tuo bambino” è stata enorme e non penso di riuscire a spiegare con le parole quello che si prova, perché sono emozioni forti, perché senti il suo cuoricino che batte, perché lo vedi e perché capisci che dentro di te si sta formando una nuova vita, una vita che io ho deciso di non far nascere. Ma questa mia felicità momentanea si è convertita in pianto; non era giusto far morire una creatura così piccola e indifesa così desiderosa di venire al mondo.

Ero da sola, non sapevo cosa fare, ero molto confusa e solo una persona ha cercato di farmi riflettere su ciò che stavo facendo e convincermi a non farlo. Ma ormai la mia decisione l’avevo fatta e armata di molto coraggio mi sono presentata per l’intervento. Anche quel giorno piangevo, mi sono chiesta se era giusto ma non ho saputo darmi la risposta.

Dopo l’intervento credevo di stare meglio. Ormai era tutto finito, non c’era più nulla di cui preoccuparsi, ma invece non è stato così. È dopo che è cominciata la mia sofferenza. Mi sono sentita vuota, mi sono odiata per quello che avevo fatto, avevo preso la mia decisione con il massimo egoismo di questo mondo, non ascoltando nessuno e non pensando al bambino che in tutta questa storia era l’unico innocente.

È passato circa un mese, ma l’immagine di mio figlio continua a tormentarmi, come se mi dicesse: “Mamma perché non mi hai fatto nascere?” E anch’io continuo a chiedermi perché non l’ho fatto nascere; ma questa volta una risposta l’ho trovata: sono stata egoista e ho pensato ai miei interessi. Ho chiesto perdono a mio figlio e continuo a farlo tutti i giorni. Spero che mi abbia perdonato, che non mi odi come ho fatto io con lui e che continui a starmi vicino sempre. Solo adesso che non c’è più lo sento mio più che mai, come una cosa che mi appartiene e che non andrà mai via, perché io non lo voglio dimenticare, anzi nel mio cuore ci sarà sempre spazio per un suo ricordo.

Nessuno può capire il mio dolore, quello che provo non solo in questo momento ma sempre; nessuno può mai capire cosa significhi rinunciare a un figlio.

Ho deciso di raccontare la mia storia per far capire a chi vive la mia stessa situazione, di pensarci bene prima di andare avanti perché la sofferenza che si prova dopo è immensa e nessuno può colmarla, né l’amore del compagno, né l’affetto degli amici. Parlarne con qualcuno può aiutare a sentirsi meglio, meno in colpa ed è quello che io non ho fatto e che sto facendo adesso perché mi aiuta a vivere più serena e per questo voglio ringraziare una persona che pur non conoscendo è fantastica e mi sta aiutando ad essere meno triste e più forte, ma anche una persona che ancora adesso continua ad ascoltarmi, a consigliarmi e a farmi capire che la vita va avanti. Grazie di cuore, se non vi avessi conosciuti non avrei avuto la forza di reagire.

E a voi future mamme, non siate egoiste come me, pensate alla decisione che prenderete perché vi segnerà la vita e vi porterà un immenso dolore. Vostro figlio non chiede di essere messo al mondo, ma non chiede neppure di non nascere; la vita di vostro figlio è più importante del giudizio della gente; perché il giudizio con il tempo scompare ma l’amore e la gioia che il vostro bimbo vi darà sarà per sempre e mai nessuno potrà portarla via»

Questo articolo ha 2 commenti

  1. maria pia

    mio figlio/a avrebbe 36 anni e da allora non passa giorno che non mi sia pentita della scelta fatta da altri. dall’assistente sociale al consultorio che velocissimi hanno organizzato l’aborto. ho aspettato fino alla sala operatoria che mio marito fermasse tutto. ma non è successo. ora mi dicono che spesso soffro di depressione. no non è depressione è dolore per non avere avuto la forza di dire no. per non aver mai visto quel bambino/a diventare uomo/donna. a 36 anni lo chiamo ancora il mio bambino

  2. Mirella

    L’unico modo per fermare questo terrorismo psicologico è “svezzare” le donne alle immagini di feti in utero ed alle immagini di aborti, in modo da generare una sana immunità mentale a tali mezzucci.
    Nessuno si scandalizzarebbe al vedere immagini o filmati di un’estrazione dentaria, perché si deve consentire agli anti-scelta di gridare allo scandalo per le estrazioni dei feti, sfruttando l’ipersensibilità di chi non è semplicemente abituato a tali immagini?

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