La triste vicenda di Rebecca Braglia, la giovane e sfortunata rugbysta finita in coma in seguito ad un placcaggio di gioco, dichiarata cerebralmente morta e sottoposta all’espianto degli organi, è esemplificativa di come funziona la macchina dei trapianti.
Trapianto d’organi vitali: espianto dopo morte o morte dopo espianto?
Innanzitutto, essa ha il compito di utilizzare un linguaggio tecnico nebuloso, poco chiaro, in modo tale da far pensare che sia una questione valutabile dai soli addetti ai lavori; in secondo luogo, le informazioni sul caso specifico sono poche e frammentate; terzo, il nuovo criterio di accertamento della morte consente di “giocare” con la parola morte e di collocarla in un momento preciso, anche se in maniera del tutto arbitraria.
Sappiamo infatti che non è possibile conoscere il momento esatto della morte ma solamente quando essa è già avvenuta, ossia quando sono evidenti i segni inequivocabili della morte stessa (ad esempio il rigor mortis).
Di Rebecca si è a conoscenza del fatto che la giovane è entrata in coma in seguito ad un incidente di gioco, che le sue condizioni cliniche sono apparse subito gravissime ed in seguito giudicate irreversibili, che è stato avviato il protocollo per l’osservazione di morte propedeutico alla fatale constatazione del decesso e infine che è stata sottoposta alla procedura per l’espianto degli organi.
È interessante notare come la notizia dell’avvenuta morte della rugbysta sia stata diramata dai media assieme a quella dell’inizio dell’iter di osservazione della morte, la qual cosa appare come minimo contraddittoria.
Cominciamo col dire che in Italia vige la legge del silenzio-assenso (n. 91 del 31 marzo 1999), in base a cui chi non dice espressamente di no diventa un possibile donatore di organi. Dunque il silenzio è considerato un “sì” implicito.
Inoltre, va ricordato che «la principale limitazione allo sviluppo delle attività di trapianto di organi è rappresentato dalla scarsità del numero dei prelievi che vengono eseguiti rispetto alle richieste dei pazienti che sono in attesa di trapianto. Il trapianto deve essere considerato l’ultimo momento di un processo sanitario che si articola in diverse fasi: identificazione del potenziale donatore di organi, accertamento della morte, valutazione e mantenimento del potenziale donatore di organi, raccolta delle manifestazioni di volontà, attività di prelievo trapianto di organi (…) Il mantenimento del potenziale donatore riguarda tutta la fase di accertamento della morte encefalica, indipendentemente da un eventuale prelievo di organi, e ha come obiettivo il completamento del periodo di osservazione per la formulazione di una diagnosi definitiva di morte encefalica. Nel paziente donatore, inoltre, ha lo scopo di mantenere un’adeguata perfusione-ossigenazione degli organi, tali da impedire o ridurre, per quanto possibile, il loro deterioramento funzionale sino al momento del prelievo» (Procedure diagnosi di morte cerebrale e donazione di organi, Direzione Sanitaria Polo Ospedaliero Centrale, Regione Lazio).
In altri termini, una volta individuato un possibile donatore, la macchina dei trapianti viene immediatamente attivata e la priorità è costituita dal cosiddetto mantenimento del potenziale donatore in vista di un eventuale trapianto, indipendentemente, pare di capire, dall’accertamento della volontà del paziente.
Senza entrare nei dettagli medici, sembra anche che alcune tecniche utilizzate per mantenere il potenziale donatore non siano a rischio zero per il paziente, anche se il protocollo impone, almeno sulla carta, che esse non confliggano con le necessarie cure da prestare al paziente stesso.
Certo è che la scarsità del numero dei prelievi rispetto alla domanda di organi potrebbe far pendere l’ago della bilancia più dalla parte del potenziale ricevente piuttosto che da quella del potenziale donatore, del quale non si può sapere la “qualità” di vita a cui andrà incontro anche qualora si riprendesse dal coma. In effetti, «la diffusione e omogeneizzazione di procedure atte all’individuazione di potenziali donatori di organi e tessuti, presso la rete ospedaliera, si prefigge l’obiettivo di aumentare il numero delle osservazioni di morte cerebrale e dei prelievi in linea con gli standards fissati a livello nazionale» (Ibidem).
In ogni caso, la macchina dei trapianti si fonda sul criterio della morte cerebrale o morte encefalica, ossia una condizione clinica del paziente che presenta una completa e irreversibile distruzione dell’encefalo nel suo complesso, identificata dall’assenza contemporanea di flusso ematico cerebrale (EEG e altre indagini), di attività riflessa del tronco cerebrale e di attività respiratoria spontanea.
Tale parametro presenta molte criticità, tra cui la non universalità dei criteri diagnostici atti a stabilirlo (variabili da paese a paese), le numerose diagnosi sbagliate (tante, rispetto al fatto che raramente vengono a galla, per ovvie ragioni) e soprattutto l’arbitrario procedimento di accertamento della morte che si fonda esclusivamente sulla cessazione delle sole funzioni cerebrali, dunque sulla pretesa di poter individuare con certezza il momento esatto della morte, per di più attraverso procedure diagnostiche potenzialmente fallaci.
Del resto, numerose e qualificate ricerche scientifiche recenti hanno ampiamente dimostrato che la parola “irreversibile” applicata ai disturbi della coscienza non è più utilizzabile.
Non possiamo sapere se la giovane rugbysta sarebbe potuta uscire dal coma prima o poi. Sappiamo tuttavia con certezza che Rebecca è deceduta in seguito all’espianto dei suoi organi e non prima, come ci vogliono far credere.
(Alfredo De Matteo, per https://www.corrispondenzaromana.it/trapianto-dorgani-vitali-espianto-dopo-morte-o-morte-dopo-espianto/)