Intervista a Marta Cartabia (Avvenire, 13 giugno 2008)
Famiglia sotto attacco Ue, così ci si può difendere
Ilaria Nava
In molti Paesi dell’Europa dei 27 ha già ottenuto l’approvazione parlamentare, in altri la procedura è ancora in corso. L’Irlanda è l’unico ad averlo reso oggetto di un accesissimo referendum di cui oggi sono attesi i risultati. Anche in Italia presto sarà discusso, visto che il presidente del Senato Schifani mercoledì ha assegnato il disegno di legge di ratifica ed esecuzione alla commissione Esteri di palazzo Madama. Firmato nella capitale portoghese il 13 dicembre 2007 dai capi di Stato e di governo degli Stati membri, il Trattato di Lisbona modifica il trattato sull’Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità europea, attualmente in vigore. Un passo importante per il futuro dell’Europa, che però non manca di qualche lato oscuro. Ad esempio, per le implicazioni che potrebbe avere sul diritto di famiglia, come ci spiega Marta Cartabia, ordinario di diritto costituzionale all’università di Milano Bicocca.
Professoressa, non abbiamo sempre detto che in materia di diritto di famiglia l’Unione europea non ha alcuna competenza?
Infatti è così. Per comprenderlo bisogna anzitutto ricordare un principio basilare che regge i rapporti tra l’Unione europea e gli Stati: l’Unione europea agisce soltanto nei settori in cui gli stati le hanno ceduto le loro competenze; viceversa, dove i trattati non affidano nessun compito alle istituzioni dell’Unione, lì le materie rimangono nelle competenze statali. Per quanto riguarda la famiglia, le istituzioni europee non hanno mai ricevuto una competenza e dunque questo settore è, in linea di principio, di spettanza di ciascuno Stato. Questa materia non è mai stata attribuita alle istituzioni europee, perché troppo diversificate sono le tradizioni costituzionali nazionali in materia di famiglia e non c’è spazio per un’armonizzazione. Ad esempio, gli artt. 29, 30 e 31 della Costituzione italiana non permettono il riconoscimento del matrimonio omosessuale, che invece esiste in altri Stati europei.
Le cose però non sono così semplici, perché la vita sociale non si presta ad essere suddivisa a compartimenti stagni e dunque ci sono alcune competenze delle istituzioni europee che debordano nel diritto di famiglia e lo influenzano….
Questo accade già ora ad esempio quando le norme europee si occupano della libertà di circolazione dei lavoratori comunitari ed extracomunitari e stabiliscono i principi per la riunificazione familiare: le istituzioni europee agiscono nell’ambito della competenza "libertà di circolazione dei lavoratori" che è stata loro attribuita, ma finiscono anche per influenzare il concetto di "famiglia", che invece dovrebbe rimanere nelle competenze degli stati. Lo stesso accade per le direttive in materia di antidiscriminazione. Ancor di più accadrà con l’attribuzione del valore giuridico alla Carta dei diritti dell’Unione europea, che è uno degli effetti più rilevanti che si avranno con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Fino ad oggi, infatti, la Carta non aveva alcun valore giuridico vincolante, sebbene nella pratica fosse già applicato dalle Corti.
Quindi con l’approvazione del Trattato di Lisbona la Carta dei diritti dell’Unione europea diventerà vincolante. Qualcosa allora potrebbe cambierà nel diritto di famiglia?
La Carta dei diritti si occupa del diritto di sposarsi ed è scritta in modo tale da consentire il matrimonio omosessuale. Ciò non significa, naturalmente, che da essa discenderà un obbligo per gli Stati di approvarlo. Tuttavia, anche se le sue disposizioni finali dicono esplicitamente che i diritti protetti nella Carta non devono ampliare le competenze dell’Unione (e quindi lasciare il diritto di famiglia di competenza degli Stati, ndr), è difficile pensare che questo non accada. Inevitabilmente succederà che l’articolo 9 della Carta dei diritti sul diritto di sposarsi favorirà gli interventi dei giudici europei a favore del riconoscimento del matrimonio omosessuale. Ci sono molti segnali in questo senso sia nella giurisprudenza della Corte di giustizia di Lussemburgo, sia in quella della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo.
Non ci sono spazi di manovra per evitare che sia così?
Sì, e infatti il Regno unito e la Polonia hanno firmato una dichiarazione con la quale si esclude che la Carta dei diritti possa essere applicabile in sede giudiziaria nei loro Paesi. Anche l’Italia avrebbe potuto aderire a questa dichiarazione a suo tempo. Ora è troppo tardi.
Cosa possono e devono fare, dunque, le istituzioni italiane di fronte alla invadenza del diritto europeo in materia di famiglia?
Se le nostre istituzioni vorranno mantenere i loro poteri in materia di diritto di famiglia e preservare la famiglia così come protetta dalla Costituzione italiana, gli strumenti non mancano. Il governo e il Parlamento italiano possono utilizzare i poteri che vengono loro riconosciuti dai protocolli sul principio di sussidiarietà per far valere, in sede di elaborazione delle norme europee, gli eventuali vizi di incompetenza delle azioni europee. In tal modo si possono fermare i progetti normativi che si occupano indebitamente della famiglia prima della loro entrata in vigore; inoltre le misure europee potranno essere impugnate eventualmente davanti alla Corte di giustizia.
In concreto quali sono gli strumenti a disposizione del Parlamento?
C’è una specifica norma – l’articolo 81 del trattato di Lisbona – che consente a ogni Parlamento nazionale di esercitare un potere di veto riguardo ai progetti di legislazione europea che hanno implicazioni transnazionali sul diritto di famiglia. Basterebbe, dunque, una presa di posizione anche del solo Parlamento italiano per fermare l’azione europea in materia di famiglia. Dunque se è vero che c’è una spiccata tendenza da parte delle istituzioni europee ad entrare nel delicato settore della famiglia, soprattutto per quanto riguarda i matrimoni omosessuali – come dimostra la sentenza della Corte di giustizia del 1 aprile 2008 che ha imposto alla Germania di attribuire la pensione di reversibilità alle coppie omosessuali legate da unione civile registrata – è anche vero che i nostri politici e i nostri organi giurisdizionali non sono condannati ad attendere inerti i cambiamenti che l’Europa tende a portare avanti. Gli strumenti per far sentire la voce dell’Italia ci sono: tutto dipende dalla loro responsabilità e dalla loro capacità di difendere le ragioni della famiglia nelle sedi europee.